Il famigerato 19 luglio 1992 mio figlio aveva quattro anni e io lo accudivo con la dedizione naturale di tutte le mamme. La notizia del tragico attentato al giudice Borsellino, di poco succeduto a quello dell’amico Falcone non mi distolse dalle cure materne ma mi provocò grande turbamento. Pensai a qualcosa di tangibile da proporre al mio bambino, che intanto rendesse familiare l’immagine dei due amici giudici, vittime della mafia. Optai per un poster da affiggere in camera, dove salutare ogni sera i due grandi uomini che si sorridono a vicenda, prima di andare a letto, per una sorta di preghiera laica che voleva essere anche un segno di gratitudine. Il poster è rimasto al suo posto, mio figlio è diventato un uomo. Con discrezione, ritengo che la coscienza civile abbia operato e continui a dare i suoi frutti. Dopo quasi trent’anni dalla strage, la memoria non si è spenta, anche se non tutto è stato chiarito. Quest’anno la pandemia vieta assembramenti e riduce al lumicino le cerimonie. Tuttavia anche il silenzio ha una sua voce. Io la percepisco nel rispetto, nella riflessione, nella preghiera. E conto di essere in buona compagnia.
Degli uomini illustri restano le opere, dei Giusti resta l’esempio.
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