Sabato 31 dicembre, ultimo giorno dell’anno, o vigilia di Capodanno, chiamata anche Saint Sylvester’s Day (notte di San Silvestro) perché il santo che si festeggia è appunto san Silvestro papa che guidò la chiesa cristiana dal 314 al 31.12.335 dopo Cristo, data della morte. Protettore di muratori e tagliapietre, è stato il 33esimo vescovo di Roma.* Si deve a lui celebrare la domenica come giorno del Signore. Il suo papato coincise con l’impero di Costantino, primo imperatore romano a convertirsi al Cristianesimo. Pertanto san Silvestro è una specie di ‘traghettatore’ che trasporta le persone verso il nuovo anno. La tradizione vuole che si saluti l’anno che se ne va e si accolga con festa quello che inizia. I festeggiamenti pare risalgano al dio Giano, quello bifronte da cui deriva il nome di gennaio. Fatta la premessa, i festeggiamenti per me non sono obbligatori, ma è inevitabile un bilancio dell’anno che sta per chiudersi, negativo assai per la situazione internazionale: aggressione della Russia in Ucraina, negazione dei diritti civili in Afghanistan e Iran, siccità…cui aggiungere i femminicidi e le morti violente sotto ogni cielo. Pare che il covid stia battendo in ritirata, quantomeno fa meno paura. Però ci sono gli effetti collaterali: individualismo, isolamento, aggressività alle stelle. Per quanto mi riguarda, mi concentro su ciò che ho conservato: salute, indipendenza, realismo condito di ottimismo che la mia amica Pia chiama realismo felice. Mantengo una rosa di contatti positivi per cui non mi sento sola, anche se vivo da sola. Il blog rappresenta lo spazio della condivisione dei miei pensieri e mi garantisce la ricarica psicologica. Intrattenimento giocoso me lo offrono Fiocco e Pepe, i micetti entrati in casa otto mesi fa: sono un cinema e perfino Grey, la gatta adulta li ha accettati. I canarini (2 maschi e 3 femmine) mi dilettano con il loro cinguettio. Tornando a piedi dalla piazza, li ho sentiti cantare dal ripostiglio dove stazionano in questo periodo invernale. Ho attribuito al loro canto un messaggio di speranza che estendo a tutti. 🍀🧡🌻 * È morto stamattina il Papa emerito Benedetto XVI, a 95 anni: 265esimo papa della chiesa cattolica e vescovo di Roma: una preghiera riverente al simbolo e all’uomo 🙏
Mese: dicembre 2022
Avventura finita bene
Una storia da brivido a lieto fine: ci voleva, in prossimità dell’ultimo dell’anno! Protagonista una ragazza 22enne, Silvia De Bon, di Longarone, pilota, atterrata sulle Dolomiti con l’aereo da turismo in panne, evitando il disastro. Con lei il fratello Mattia, 27anni e la sua fidanzata Giorgia Qualizza, di 28. Appena rientrata dagli Usa per accumulare ore di volo, la coraggiosa e abile pilota, dice: “Di norma il movimento che ho fatto con l’aereo è sbagliato ma in quel momento era la cosa più giusta da fare”. Atterraggio da brivido a 2100 metri, causa perdita di potenza del piper e Silvia salva tutti e tre gli occupanti. Complimenti vivissimi al suo coraggio e alla scelta opportuna, anche se rischiosa fatta nel momento giusto! La testimonianza di abilità offerta dalla giovane pilota rincuora e riscatta l’immagine preconcetta di giovani nullafacenti e senza ambizioni. Anche se essere giovani oggi non è facile. Per completezza, mi sento di precisare che la vita non è semplice per nessuna fascia d’età perché c’è sempre qualcosa che manca: ai giovani il lavoro e i soldi, agli anziani la salute, agli adulti la serenità e il tempo. Credo che il carattere ben strutturato costituisca un grande vantaggio per affrontare gli incerti della vita che visitano tutti, prima o dopo; questo è un dato di natura su cui genitori ed educatori possono intervenire e fare molto, se non in disaccordo. Personalmente mi piacciono molto i giovani che sanno andare contro corrente e Silvia non è certo una ragazza convenzionale. Per essere pilota alla sua giovane età credo abbia già superato diversi ostacoli. Forse anche vivere in una zona di montagna modella il carattere e favorisce certe scelte. Mi auguro che ci siano in giro altre giovani toste come lei che sanno domare la tigre e/o cavalcare l’onda. Alla pari dei coetanei maschi.
Il coraggio di protestare
Sono un’insegnante in pensione. Ho colleghe in servizio quasi a fine carriera e altre che hanno iniziato da poco. Perciò il mondo della scuola mi appartiene e seguo le vicende con emozioni intuibili, sentendomi quasi ‘miracolata’ ad esserne operativamente ‘fuori’, avendo dato. Mi sono emozionata stamattina a sentire del professore afgano che strappa la laurea in diretta tivù: A che serve se mia sorella non può studiare. Mi rifiuto di accettare questo sistema. Da quando ci sono i Talebani, l’Afghanistan non è più un posto dove ci si può istruire. Protesta clamorosa di un collega coraggioso, che si chiama Ismail Meshal, insegnante dell’Università di Kabul. Chissà cosa gli succederà ora, per aver accusato apertamente il regime che si è di nuovo imposto nel Paese. Sui quarant’anni, barba e capelli scuri, sguardo rassegnato mi suscita grande ammirazione, congiunta ad ansia galoppante. Le nostre problematiche scolastiche sono quisquilie rispetto a quanto gli insegnanti – e non solo – subiscono laggiù. Non e’ il solo a protestare per la situazione di oppressione che toglie fiato e vite in Paesi neanche tanto lontani, ma il suo ruolo di docente me lo rende vicino psicologicamente. Non credo che avrei avuto altrettanto coraggio e mi interrogo su cosa potrei fare per sostenere la sua giusta causa. Magari scrivere, anche attraverso il blog per sensibilizzare su quanto sta succedendo perché non ci abituiamo al male. Anche voi lettori potete dare una mano, se avete un’idea condividetela. In tempo di bilanci, non solo personali, lievitano le vittime dei regimi e della guerra (più realistico dire guerre) in corso e non si intravedono schiarite all’orizzonte. Spero che Ismail venga graziato e che il suo legittimo atto di protesta smuova qualche cuore di pietra.
Nascere non è sempre un lieto evento
Ho sempre trovato qualcosa di innaturale nella disposizione che consente a una donna in procinto di diventare madre di non riconoscere il figlio che dà alla luce. Ma come, se lo mette al mondo lei, nel dolore e assistita da personale ospedaliero, come può non riconoscere ciò che è evidente? Anche dopo essere diventata madre, il dubbio mi perseguita sebbene mi sforzi di pensare che la possibilità venga concessa a favore del neonato che nasce in circostanze sfavorevoli. Quanto successo a san Donato Milanese lo conferma la stessa ‘Sabrina’, 24 anni, sarda che ha partorito il figlio e non lo ha riconosciuto, per l’indigenza in cui vive: un capannello di ombrelli sotto la pensilina della metro che condivide col compagno 29enne, pizzaiolo senza lavoro. Sembrano gli ingredienti di un romanzo d’appendice, anche se siamo nel terzo millennio e in Europa. Il Corriere dedica al fatto un’intera pagina dove la giovane donna snocciola particolari della sua vita in fuga dalle difficoltà: dalla Sardegna – dove non vuole tornare – alla Germania dove ha vissuto per un periodo con il compagno, alla Lombardia dove vive da alcuni mesi in ristrettezze tanto evidenti da impedirle di tenere con sé la creatura, non riconosciuta che viene data immediatamente in adozione. Ora, so poco della Legge 194 che regolamenta questa ‘transazione’ affettivo-genitoriale (in sintesi, fornisce servizi e aiuti per le madri sole o in difficoltà, anonimato e adottabilità del bambino); è probabile che la scelta fatta da ‘Sabrina’ nell’immediato sia quella meno traumatica per il bimbo/a, viceversa destinato all’ndigenza cronica…ma dov’è andato a finire lo spirito materno, tante volte sbandierato? Possibile che non esistesse una soluzione intermedia per salvaguardare madre e figlio? Se guardo al mondo animale, le madri sono molto accudienti e guai a toccargli la prole, anche se esistono le eccezioni. Come in tutte le cose, c’è il rovescio della medaglia. Il tema della maternità, spesso idealizzata mi interessa così tanto che sto pensando di scriverci un romanzo dove fondere realtà e immaginazione. Auguri immensi al bambino non riconosciuto.
Facce della stessa medaglia
“Sono tanto triste oggi” è il messaggio che mi invia mio nipote, visto giovedì scorso per il 40esimo compleanno, una ricorrenza importante che abbiamo festeggiato pranzando insieme. In quel contesto, gli chiedo notizie di Francesco, un giovane amico ricoverato a Padova, per le gravi ustioni riportate in un tentativo di suicidio messo in atto lo scorso settembre. Mi risponde che non ha notizie recenti e che l’amico è sempre grave. Oggi l’aggiornamento: Francesco, 21 anni non è più tra noi. Non conoscevo Francesco, ma ho sentito l’affetto e l’ammirazione di mio nipote Andrea per lui. Da come lo aveva descritto era un giovane buono, gentile e sincero. Una creatura sensibile, costretta a convivere con una fragilità esistenziale, per cui era seguito dai servizi sociali che fanno quello che possono, non i miracoli. Così anche lui ha preferito uscire di scena, come altri maschi in quest’ultima parte dell’anno, alla ricerca di una pace introvabile in questo mondo turbato e disturbante. Mi è già capitato di toccare l’argomento, per episodi analoghi capitati a persone a me vicine, tutte ‘esplose’ come fulmini a ciel sereno, alcune in cura. Sono rattristata e impotente, anche a scegliere le parole giuste per lenire un poco la perdita. La elaborazione del lutto sarà lunga e difficile per chi resta che non si dà pace e si illude che le cose sarebbero andate diversamente con maggiore attenzione da parte di ognuno. Ma l’autore del gesto voleva andarsene, bisogna rispettare la sua volontà e farsene una ragione. Ora riposa in pace, in un mondo senza più dolore fisico e psicologico. Mi viene un suggerimento in punta di piedi: pensare la persona che non c’è più per le qualità che senz’altro aveva, stendendo un velo pietoso sui motivi del drammatico gesto. In definitiva, vita e morte sono le facce della stessa medaglia.
Prodigi del cavolo nero
In cucina ci sto poco volentieri, ma ammetto che è un luogo dove si può imparare molto, se arrivano gli stimoli. Tra i doni di Natale mi è arrivato del cavolo nero, a me quasi sconosciuto. Sento per televisione che quest’anno i cesti gastronomici sono stati tra i regali più apprezzati e questo aumenta il mio livello di gradimento, legato anche alla simpatia per Marta che mi ha donato il prodotto e alla figlia Veronica che me l’ha portato. Il nome deriva dal greco Kaulos, che significa gambo, fusto perché cresce con foglie lunghe, verde scuro e non sviluppa una testa centrale, a differenza dei cugini cavolfiore e broccolo. Viene chiamato anche cavolo a penna, cavolo palmizio o cavolo toscano, perché la Toscana lo ha valorizzato con ricette salutari, come la famosa ribollita. È un concentrato di sostanze benefiche, una fonte preziosa di sali minerali, utile per stomaco e intestino per la presenza di glutammina che funziona come un antiacido. Insomma, una miniera di qualità che invogliano ad introdurlo in svariate ricette: tortino di cavolo nero, zuppa di cavolo nero, ciambella di cavolo nero eccetera. Mi cimenterò in una di queste. Comunque la riflessione che mi viene da fare è che il cibo è un collante di amicizia e una fonte di arricchimento culturale. L’ espressione latina di Giovenale “Mens sana in corpore sano” (mente sana in un corpo sano) conferma il connubio tra l’alimentazione e la salute, intesa come benessere psico-fisico. Ne sono tanto persuasa che sto valutando di fare/farmi fare un angolo di orto. Anni addietro pensavo che fosse cosa da pensionati che hanno tempo di occuparsene, più che scelta motivata da ragioni salutari. Adesso sono pensionata anch’io, ho tempo, uno scampolo di terra, chi può darmi una mano…e la curiosità di sperimentare per produrre qualcosa di buono a metro zero. A fiori e frutti, aggiungerò qualche ortaggio. (Per la cronaca, ho fatto il tortino di cavolo nero: le mie papille gustative si sono deliziate)
‘Magia’ del Natale
Nei giorni precedenti ho sentito spesso nominare la ‘magia’ del Natale, su cui peraltro uno spiritoso vignettista ha costruito la sua vignetta in riferimento al denaro che sparisce facile, tra bollette e regali. La parola magia è di per sé accattivante e può indurre in errore, tanto che i suoi sinonimi non sono affatto tranquillizzanti. In sintesi, per magia si intende una tecnica che fa uso di gesti e rituali appropriati per influenzare o dominare gli eventi e l’essere umano. Quindi la magia del Natale dei messaggi pubblicitari consiste nell’imbonire, al fine di vendere svariati prodotti tipici del periodo natalizio noti a tutti. Ecco, da questa magia io mi discosto e tento di cercare quella del Natale dentro di me. Quando credo di averla trovata, la metto in versi che sono il mio dono odierno per chi vorrà gradire, titolo compreso. Su Instagram, sotto il mio nome trovate anche la versione incastonata nella foto, scattata da casa mia verso la chiesa di Castelcucco dove abito. SPERANZE SOTTO NATALE Un Natale lieve/come la neve/che si posa silenziosa/su ogni cosa./Un Natale frugale/che metta le ali/ai sentimenti/e dismetta i risentimenti./Tacciano le armi/avanzi prepotente/la considerazione/dell’ambiente./Che il male sparisca/dalla terra o almeno/venga compensato/da un impegno non blaterato./Un Natale trasparente/come l’acqua del torrente/che gorgoglia cristallina/sulle pietre del fondale./ Non sarebbe male/ridurre addobbi e lustrini/prestando attenzione/alla lezione della capanna.// Magico Natale a tutti! 💖🌲🌻
Effetti del dono
Non so se sia accettabile emozionarsi ancora alla mia età nello scartare regali. Penso che ognuno ha l’età che si sente e io ho momenti di gioventù, per non dire di adolescenza. Poi mi torna in mente la teoria del fanciullino di Giovanni Pascoli e i conti tornano, perciò mi assolvo. D’altronde ho vissuto un’infanzia caricata di responsabilità che mi hanno sottratto i giochi. Per un desiderio di compensazione, adesso mi trastullo con i regali fatti dalle persone care. Parto dagli ultimi ricevuti: due belle Nataline fiorite che Manuel mi consegna da parte sua e di sua nonna Gina che ho adottato idealmente. Valore aggiunto: la coda che il mio braccio destro – Manuel – ha dovuto fare al vivaio per acquistarle. Il tempo è prezioso, si sa e bisogna rendere merito a chi si sobbarca l’onere di questi tempi. Verso sera arriva Adriana, finalmente in vacanza (ma con qualche impiccio da risolvere ancora) con un gradito pacchettino: un completo da forno a stampa felina che sottolinea la mia perizia nel fare i muffin e la mia simpatia per i gatti. Stamattina, di strada verso la scuola per l’ultimo giorno di lezione, Veronica si ferma un attimo e mi consegna una borsa, riempita dalla generosa madre Marta di patate e cavolo nero, con cui mi farò una profumata zuppa. Sento già odore di famiglia e di cose buone. Di pomeriggio ricevo la gradita visita di Vilma e di Marcella: una ha pensato al mio rapporto con i fiori, e l’altra alla mia pelle delicata. A questi doni di giornata vanno aggiunti quelli ricevuti i giorni scorsi da Pia e da Piero. E sospetto che non sia finita. Confido sottovoce che mi sono fatta un regalo anch’io, grazie al supporto di mio figlio: una scopa elettrica – ordinata online e arrivata in un battibaleno – che funziona a meraviglia! Natale è imminente e ho già ricevuto molto, contraccambiando con prodotti Made in Ada facilmente immaginabili. Condivido il pensiero di Giuseppe Donadei che trovo sul Calendario Filosofico alla data odierna: Natale non è desiderare ciò che ti manca, ma illuminare ciò che hai. Buon tutto…a tutti!
Antivigilia di Natale
Stamattina cambio bar, pur restando in paese. Voglio osservare il presepe artigianale allestito vicino al bar Al Portego, dove tra i quotidiani c’è anche Il Corriere. Di strada entro in cartoleria e compero la Repubblica. Una breve sosta davanti alla natività dipinta su legno, un prodotto essenziale senza effetti speciali, per favorire il raccoglimento. Mentre sto per varcare l’ingresso del bar, noto dei singolari alberelli appesi alla sbarra cui si appoggia la tenda d’estate: sono costituiti da tappi di sughero connessi circolarmente, fino a creare un originale albero di Natale. Bella idea che ricicla il materiale disponibile nel locale, praticamente a costo zero. Il significato del decoro arriva chiaro, l’allestimento è originale. Una prova che basta poco per comunicare un concetto, se c’è lo spirito dietro. Mi accomodo in disparte, come d’abitudine in cerca di notizie da privilegiare. Mi soffermo su quella che mi sembra più in relazione con il presepe artigianale allestito a pochi passi: sette giovani afgani – solo due maggiorenni – sono stati scoperti in un camion che trasporta mangime nello stabilimento Maia di Pieve di Soligo. A dare l’allarme il conducente del camion, uno straniero accortosi dei sigilli rotti nel rimorchio. Quindi ‘carico umano’, giunto furtivamente e miracolosamente a destinazione in Italia, dopo aver superato la rotta balcanica. Identificati e rifocillati, i sette migranti sono stati poi trasferiti in adeguate strutture a Vittorio Veneto. Una storia quasi finita bene, simile ad altre purtroppo con esito drammatico. Posso solo immaginare le sofferenze dei sette afgani in cerca di salvezza, un po’ come i pastori nei pressi della grotta. Mi auguro che il futuro riservi loro sostegno, oltre all’accoglienza che è il primo passo verso un percorso tortuoso alla ricerca della stabilità e magari del benessere. Suppongo che anche i 17 milioni di italiani in movimento sulle strade in questi giorni stiano cercando qualcosa di simile.
Nipoti di Babbo Natale e nipoti di penna
Sul settimanale il venerdì di Repubblica, a pag. 39 leggo l’articolo di Antonella Barina PER TANTI ANZIANI C’È UNA SORPRESA SOTTO L’ALBERO che trovo interessante. Si tratta di un progetto, chiamato Nipoti di Babbo Natale che consente di realizzare il sogno di un anziano solo. Per partecipare, basta entrare nel sito nipotidibabbonatale.it, scegliere il desiderio e seguire la procedura. La Onlus Un sorriso in più – che dal 2004 porta serenità agli anziani soli – attua il progetto e quest’anno punta a superare i 7.853 sogni realizzati l’anno scorso, proponendo un’altra straordinaria iniziativa, nipotidipenna.it che fa proprio al caso mio: diventare “Nipote di penna” tramite lo scambio di lettere tra gli ospiti di RSA e chiunque desideri instaurare con i “nonni” un rapporto continuativo. Ho sempre sentito la mancanza di un nonno/una nonna vicini e longevi. Avevo 13 anni quando persi nonna Adelaide cui ero molto affezionata e che torna nei miei scritti. Prima della pandemia avevo iniziato degli incontri culturali in alcune case di riposo dei paesi vicini, con reciproca soddisfazione, mia e degli ospiti. Secondo le mie intenzioni, la frequentazione sarebbe continuata ma il famigerato covid ci ha messo lo zampino. Alcune ospiti le ho sentite per telefono, di altre non ho saputo più nulla e qualcuna è passata a miglior vita. La situazione non si è sbloccata ed accedere in struttura, ora come ora è pressoché impossibile. L’iniziativa di avviare una corrispondenza epistolare con un ospite mi pare ottima. Ho dato una rapida occhiata al sito: Castelfranco Veneto è la sede più vicina che aderisce al progetto. Mi riprometto di approfondire e di candidarmi per corrispondere con qualcuno, certa che l’iniziativa corrisponda ad un reciproco regalo, immateriale ma sostanziale. Auguri speciali a tutti i nonni e oltre! 🌲