Un passo indietro…

Anche stamattina come altri lunedì mi concentro sull’articolo della dottoressa Graziottin, intitolato “Un passo indietro per (ri)aprire la porta della felicità”. Mi attrae soprattutto ciò che sta tra parentesi, che induce a ripescare qualcosa di buono e bello del nostro passato. Prima ancora di leggere l’articolo, mentre il cameriere deposita sul tavolino il cappuccino cremoso col cuore disegnato e una profumata croissant, decido che oggi devo essere contenta, perché ricorre il mio anniversario di laurea, conseguita nel lontano 30 novembre 1976… ero una ragazzina di 23 anni, coi capelli lunghi ramati; indossavo gonna e gilet di velluto celeste, sotto camicetta rosa con chiusura a cravatta. Il particolare della cravatta non è casuale, perché sottintende il mio bisogno di indipendenza e autonomia, guadagnate colpo su colpo. Per diversi anni ho festeggiato il giorno della laurea, ritenuto centrale per la mia carriera professionale. Poi è stato superato da altri importanti eventi. Stamattina il titolo dell’articolo succitato me lo ha riportato alla memoria, procurandomi una sottile emozione. Lo leggo attentamente e comprendo che l’invito è a fare una passeggiata dentro di noi, per recuperare lo spirito dei tempi migliori, forse della gioventù ma non è esclusivo, per godere dei piaceri semplici oppure che vengono dal sacrificio e dalla pazienza. Tra l’altro, la sessuologa definisce l’attività fisica, anche il semplice camminare, il più potente antidepressivo e ansiolitico che esista. Quindi buon cammino a tutti, reale se possibile e soprattutto introspettivo.

SALUTE, bene individuale e collettivo

La mia dottoressa è una gentile e sorridente signora che frequento il meno possibile in studio, ma che vedo assai volentieri alle mie mostre fotografiche e alla presentazione dei miei libri. Infatti ama i fiori come me ed è una forte lettrice; il che si sente dagli interventi accurati che fa e da come si esprime, coniugando professionalità e rigore scientifico. Mi invia un messaggio nel quale, da medico di base esprime pena per la situazione sanitaria creatasi con le testuali parole: “In questi giorni è un delirio: la nostra bella Pedemontana, risparmiata dal virus in Primavera, è ora flagellata. E dicembre, con le sue feste, deve ancora arrivare… speriamo bene!”. Ecco, mi ero illusa di vivere in un’isola felice, circondata dai campi e da tanti capitelli. Speravo di scivolare indenne, insieme con i miei concittadini, fuori dal tunnel opprimente della pandemia che invece pare stazioni qui e nel vicino paese. A breve saremo sottoposti tutti a screening di massa per stanare il covid: ben venga, così sapremo come difenderci. Se ricordo bene, l’imperatore Traiano diceva che la migliore difesa è l’attacco! Però riprendo la parte finale del messaggio della dottoressa, che sottintende la preoccupazione per le incombenti feste natalizie e rivolgo un appello a tutti i cittadini di cuore e di testa: per quest’anno famigerato, sostituiamo la parola festa con sobrietà, oppure serenità… che ci consentiranno di riappropriarci della salute e di mantenerla. Consapevoli che la SALUTE è un bene individuale e collettivo, come da Art. 32 della Costituzione italiana.

Spes ultima dea

“Io parto sempre dal presupposto che sia un bel giorno… poi si vedrà”, è il testo incoraggiante di un messaggio ricevuto poco fa corredato dalla vignetta di una ragazza stilizzata, seduta ad un tavolino, mentre sta per bere qualcosa di caldo: situazione rituale che si ripete dentro casa ogni mattina, anche nella mia, in compagnia dei miei pets, dal rango di semplici “bestie” elevati a quello di “conviventi”, secondo quanto affermato in un articolo letto di recente sul Corriere. Ho sempre ammirato la pubblicità realistica, finalizzata al benessere delle persone, come nel caso del messaggio inoltrato, piuttosto che a vendere un prodotto. Detto per inciso, se fosse possibile acquistare in negozio o in farmacia confezioni di buonumore e di speranza, credo ci sarebbe da fare la fila, di questi tempi più che mai. Visto che oggi è sabato, azzardo una considerazione di fine settimana, leggermente soffusa di rosa: la tele ha annunciato il passaggio a zona arancione delle zone prima rosse e un calo dell’indice di diffusione del virus: mi sembra una notizia incoraggiante, che autorizza a sperare in ulteriori “miracoli” con l’arrivo a breve del vaccino, anzi dei quattro vaccini allo studio, in attesa di approvazione. È il caso di tenersi stretta la “Spes ultima dea”, divinità cui si appellavano i Latini nei momenti bui, oppure di trovarla come dono sotto l’albero di Natale. Per archiviare al più presto questo anno terrificante.

Tutto si trasforma

Godiamo di giornate fredde e terse. Ieri sera c’era una bella luna che mi ha fatto tornare in mente una quartina di Jacopo Vittorelli che recito quando sono di buonumore: “Guarda che bianca luna!/Guarda che notte azzurra!/Un’aura non sussurra,/non tremula uno stel./ Stamattina ho visto i monti velati da una coltre impalpabile… e la brina in giardino, dove l’altro ieri ho tagliato l’ultima erba. Non era mai successo a Novembre, a mia memoria. In tarda mattinata esco con l’auto, per sbrigare alcune faccende e raggiungo il paese vicino, con l’idea di fare qualche foto. Soggetto preferito: le foglie, di un bellissimo color ruggine, che immortalo da varie angolazioni. Verso mezzogiorno la temperatura è gradevole, il cielo celeste tranquillizzante e il tono del mio umore risente positivamente del gorgoglio del torrente Caniezza accanto al supermercato dove ho parcheggiato. Attorno silenzio, solo qualche cliente che va a fare la spesa. I miei pensieri si librano come uccelli, depositandosi qua e là. Inspiro ed espiro profondamente, pensando a quanto sia facile farlo in una condizione di buona salute, negata alle persone colpite da covid. È stato un anno disastroso per l’emergenza sanitaria, non ancora superata. Comparo le vittime alle foglie, così belle e fragili. Molte sono cadute e formano un tappeto marrone che si frange scricchiolando sotto i tacchi. Mi piace pensare che formeranno humus per le foglie della prossima primavera. Così “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, secondo il pensiero del biologo e filosofo Antoine Laurent Lavoisier.

A lezione da Natalina…

C’è una stanza a casa mia dove il sole si trattiene più a lungo ed è la camera di mio figlio (lui vive nell’appartamentino adiacente), adibita un po’ a studiolo e un po’ a fioreria. Posizionata a sud, si affaccia sull’orlo dove il generoso albicocco ha perso le foglie. È anche la stanza preferita da Puma, la gatta che non a caso si accomoda sopra il letto pieno di cuscini o sulla poltroncina vicino alla finestra dove curiosa impertinente il sole. Sulle mensole alle pareti si riposano diversi libri, parecchi cd e qualche pianta verde… anche le ultime talee di geranio ricavate dalle piante madri il 20 ottobre scorso (ho controllato sull’ adesivo posto sul vasetto). A colpo d’occhio è una stanza per me molto stimolante, perché ci trovo ciò che mi piace: luce, libri, fiori. Stamattina una sorpresa: è fiorita la Natalina che avevo trasferito dallo studio. Evidentemente le ha fatto bene godere di luce e tepore (qui tengo spento il termosifone). Il nome botanico della vivace pianta, che appartiene alla famiglia delle cactacee è difficile (Schlumbergera), perciò preferisco chiamarla col nome popolare, suppongo legato alla fioritura stagionale. La mia ha dei bellissimi fiori penduli, di colore fucsia e di forma stellare all’estremità dei peduncoli verdi, che si riproducono molto facilmente. Una sua simile si chiama Pasqualina, perché fiorisce a primavera. Ecco, i fiori che non hanno bisogno di cure sono quelli che mi sorprendono di più. Li abbandoni in un angolo e quando non te lo aspetti ti stupiscono con insperate fioriture. Chissà se madre natura vuole trasmetterci un messaggio, che in questo caso potrebbe essere: mai disperare, c’è sempre un’altra possibilità. Il linguaggio dei fiori è silenzioso ma educativo. La Natalina oggi mi ha proposto la sua esemplare lezione.

Lettera aperta alle donne

Care Donne, amiche, colleghe, lettrici… chiunque siate e dovunque stiate, Vi auguro di trovare oggi tanta dolcezza, non fatta di fiori e cioccolatini ma di sostanza. Nella Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne non voglio parlare delle vittime, che non vanno dimenticate e che sono i nostri angeli custodi. Preferisco invocare la gentilezza che in teoria ci distingue dai maschi, ai quali forse ci siamo scordate di insegnarla, oppure l’abbiamo trascurata, ritenendola a torto distintivo nostro. Parlo per me che ho un figlio maschio, ma credo di essere in buona compagnia. I tempi complessi e le tortuosità della vita ci hanno modificate, togliendoci qualche nota femminile e rendendoci più virili, così non è sempre chiaro da che parte stare, in quale metà della mela. Però se la diversità è un valore, è bello condividerla ed anche mischiarla con i padri, i mariti, i fratelli, i compagni che oggi ci guarderanno con un occhio di riguardo. Nella malaugurata ipotesi che ciò non avvenga, pensiamo alle donne vittime di violenza e facciamo squadra, perché la vita, che a noi è concesso di donare, vale tutta. Che sia colorata di rosa o di azzurra fa lo stesso. Ciao donne, una di Voi

Piaceri quotidiani

Sullo sfondo di un suggestivo tramonto mi arriva un messaggio con questo testo: “Sognavamo viaggi mai fatti, ai confini del mondo ed ora ci basterebbe una passeggiata tra amici… per le strade di sempre”. Confesso che sono piuttosto sedentaria e non ho mai pensato a viaggi lontani, anche per motivi economici. Il più lungo è stato una crociera in Grecia nel 2006, unica evasione vissuta in compagnia di mia madre che sarebbe mancata l’anno dopo. Lei era riuscita ad andare in Argentina, ospite dell’amato fratello Sergio che era terrorizzato dall’aereo. Passeggiate però ne ho fatte: con cani, senza cani, con qualche amica, spesso anche da sola. Come stamattina, per sbrigare una pratica in posta. Poi ho deviato verso il bar Montegrappa, che fortunatamente ha riaperto dopo un periodo di quarantena, sappiamo perché. Sono contenta di scegliermi il posto più in luce per leggere il giornale… che però non c’è. Decido di andarmelo a comperare nella vicina cartolibreria, dove lavora la gentile Laura, figlia maggiore di Luca, titolare altrettanto gentile del bar e annesso ristorante. Data la mattinata inoltrata, niente cappuccino ma aperitivo e tramezzino (il mio colesterolo non se l’abbia a male). Ecco, leggere il quotidiano in santa pace in una mattina di sole, in un ambiente familiare e accogliente è già una conquista, negata i giorni precedenti. Quando esco, sento vociare gli studenti della vicina scuola media in ricreazione: anche questo mi strappa un sorriso. Mentre mi avvio verso casa, distante poco più di un centinaio di metri vengo sorpassata da una 500 gialla, modello originario, compreso il rumore roboante, immagino di un collezionista. Questa incursione inattesa mi procura una ventata di gioia: ripenso alle prime guide di quando feci la patente, e alla prima auto di famiglia guidata, che era l’auto di servizio di mio padre Arcangelo, rappresentante di liquori (astemio): una 500 bianca con l’effige sulle portiere della bottiglia di grappa Maschio. Con quella utilitaria raggiunsi più volte la città universitaria, dove mi beccai anche una multa (di cui parlo nel mio ultimo libro TEMPO CHE TORNA), non particolarmente punitiva. Ecco, diciamo che stamattina la passeggiata è stata un piacere, perché reale ed anche in compagnia dei ricordi.

Sentiero

Stamattina ho partecipato alle esequie di Piergiorgio, nel Tempio del Canova, con la presenza anche degli Alpini. Durante la funzione è stata letta la Preghiera dell’Alpino, di cui riporto un passaggio: “Salvaci dal gelo implacabile, dai vortici della tormenta, dall’impeto della valanga, fa che il nostro piede posi sicuro sulle creste vertiginose, su le diritte pareti, oltre i crepacci insidiosi…”. Il tutto si è svolto nel rispetto delle disposizioni anti covid; in un banco da otto posti c’ero solo io, davanti e dietro a me altre due signore agli estremi opposti. Con questa modalità erano distribuite una sessantina di altre persone. Nonostante le limitazioni, eravamo in molti a salutare Piergiorgio, che in vita aveva portato con il sorriso tante missive, belle e brutte. Finita la cerimonia, mi sono trattenuta nei paraggi del Tempio, per fare qualche foto. Quando mio figlio era piccolo, frequentavo i sentieri limitrofi dove la natura è accogliente e spontanea. Il viottolo alla destra della chiesa era il nostro obiettivo preferito, per brevi passeggiate ristoratrici. A una decina di metri sulla sinistra c’è un’edicola con una Madonnina cui mettevamo dei fiori raccolti nel campo sottostante. Poco oltre una zona con diversi olivi, ad ombreggiare il sentiero che conduce a Cavaso, paese confinante. Ho rivissuto momenti piacevoli e faticosi del passato, archiviato. Ma il viottolo rimane, per viaggiatori fedeli, occasionali, naturalisti, pensatori, turisti… ora rarefatti. Il tema del viandante e del viaggio si incastrano bene con quello della vita e del percorso assegnato a ognuno su questa terra. La meta coglie talora impreparati e lascia sgomenti. Ma è il viaggio che trovo interessante, pieno di sorprese e meraviglie. Come i fiori che raccoglievo insieme con mio figlio quand’era bambino.

La luce della mente

Mentre faccio colazione, dopo aver servito cane e gatti, ascolto le notizie in tivù. Di domenica seguo a tratti la trasmissione UnoMattina in famiglia, di cui apprezzo particolarmente lo spazio del professor Francesco Sabatini. Il linguista, presidente onorario dell’ Accademia della Crusca ha la bellezza di quasi novant’anni (Pescocostanzo, 19.12.1931) e si esprime con invidiabile chiarezza e competenza. Siccome per me è un esempio, anzi meglio un mito, mi chiedo quale sia la ricetta da seguire per diventare longevi e rimanere mentalmente vivaci. Per il professore, oramai noto volto televisivo, ritengo che la prestanza intellettuale sia frutto della professione, ma non solo. Immagino che abbia adottato uno stile di vita sano, favorevole alla mente e al corpo. La sua è una testimonianza invidiabile ed incoraggiante. Apprezzo molto che riesca a spiegare in modo semplice come nascano i modi di dire, nel caso odierno quello che riguarda “Le dolenti note”: prima ricorda il padre che usava l’espressione riferita alle cartelle esattoriali… poi passa a Dante, il padre della lingua, che la usa nel V canto dell’Inferno, a proposito dei dannati che si lamentano (versi 25-27). Solo un grande riesce a passare con disinvoltura dal privato… al classico! Onore al merito e alla vita lunga e illuminante!

21 Novembre 2020

L’anno scorso come oggi era sagra in Caniezza, a Cavaso del Tomba dove abitai da bambina, paese che frequento tuttora volentieri, per motivi nostalgici ma anche perché la comunità è vivace. Quest’anno niente festeggiamenti in onore della Madonna della Salute, cui è dedicata la chiesa locale. Causa ristrutturazione, la statua della Madonna è stata trasferita nella chiesa parrocchiale dove stasera sarà officiata la messa. Non mancheranno le preci alla Vergine, che anzi immagino sarà subissata da richieste di guarigione, considerato il tempo avverso. Data la mia età, non ho nostalgia delle giostre e dell’allegra confusione, mi manca piuttosto lo scambio delle strette di mano e quattro chiacchiere alla buona sotto il tendone dove si potevano gustare specialità locali e frutti di stagione. Tutto azzerato, come da disposizioni ministeriali. Qui come altrove, vedi Venezia dove la Madonna della Salute viene onorata dal lontano tempo della peste, anzi delle pestilenze che pare siano state addirittura una settantina. Ora come allora siamo di passaggio su questa terra, di cui ci sentiamo padroni anziché ospiti. Non ho argomenti da sostenere, se non un senso di precarietà che rattrista le mie giornate. Invidio chi possiede una grande fede religiosa cui può aggrapparsi. Nel distanziamento sociale, imposto per motivi sanitari costruirò il mio altare laico dove depositare la supplica perché la Salute prevalga sulla malattia, e l’augurio che riusciamo a tenercela cara.