Assisto al Concerto del Coro Valcavasia, per il 50esimo Anniversario di Fondazione, nell’Anfiteatro P.zza Benedettini, a Caniezza di Cavaso del Tomba, sabato 29 luglio 2022: 34 cantori di età compresa tra i 18 e i 75 anni, diretti dai quattro Maestri che si alternano sul palco: Sabino Toscan, Cesarino Negro, Rinaldo Padoin e Tarcisio Dal Zotto. La performance canora prevede 18 brani che si alternano alle due voci narranti di Roberto Codemo e Giuseppe Rugolo che ricostruiscono la storia del gruppo: circa tre ore che scorrono lievi, sotto il cielo clemente di fresco e il gioco di luci che si espande dal retro del palco. Pubblico numeroso, affascinato e coinvolto. Da letterata apprezzo particolarmente la parte del racconto, movimentato da aneddoti simpatici e ricordi affettuosi di chi nel frattempo è mancato, senza nulla togliere alla ineccepibile ed emozionante rassegna canora. Approfitto dell’intervento del sindaco di Cavaso Gino Rugolo, per concentrarmi su una parola che lui usa, per fare una mia considerazione riguardo ciò che c’è dietro un gruppo tanto coeso: “amalgama”, che ha un sinonimo in mescolanza. A mio dire vale quanto collante, unione d’intenti che ha consentito al Coro di crescere, rafforzarsi, espandersi oltre oceano fino in Brasile e Australia, esportando il meglio della comunità, perché “Da soli si va più veloci, ma insieme si va più lontano”. Mi piace molto questo concetto di comunità operosa, dove se uno ha bisogno gli altri corrono. Esemplare l’intervento a favore di un elemento del gruppo, costretto a rifiutare una trasferta perché doveva sfalciare l’erba: operazione di 15 gg di lavoro, risolta in due giorni dalle molte braccia dei colleghi coristi corsi in aiuto. Ecco, personalmente mi sono portata via questa testimonianza di unità costruita giorno per giorno, tra lacrime e sorrisi, inaffiata da buon vino e tanta solidarietà. Da emulare e riproporre in altri contesti artistici. Grazie Coro e lunga vita!
Mese: luglio 2022
Fatalità
Non so che fattezze abbia la fatalità: certo che per me è terrificante, quando si manifesta in situazioni già compromesse, per aggravarle. Mi riferisco alla tragica morte della bimba di sette anni Ucraina, fuggita dalla guerra e morta annegata nel Lago di Revine, dove si trovava in escursione con un gruppo parrocchiale. La piccola, Maria Markovetska, rifugiata in Italia dopo l’inizio delle ostilità in Ucraina, era ospite del collegio “San Giuseppe” di Vittorio Veneto. Una bella bimba bionda, sfuggita alla vigilanza e inghiottita dalle acque del lago. Il padre della piccola sta combattendo nella zona orientale, quella più bersagliata dai russi, “Un dramma nel dramma” afferma il console onorario per il Nord-est Marco Toson. Gruppi di bambini si alternavano per fare il bagno, guardati a vista dagli animatori. Era presente anche la nonna della piccola e nessuno si è accorto che Maria non era riemersa dall’acqua. Al momento la Procura della Repubblica ipotizza i reati di omicidio colposo e omessa vigilanza. Comunque si siano svolti i fatti, provo una grande pena per tutti: in primis per la bimba, risucchiata dalle acque che dovevano procurarle gioia e benessere, per i genitori, la nonna, la sorellina di cinque anni, i volontari maggiorenni e minorenni in servizio al Grest. Quando ero in servizio come insegnante di scuola media, qualche anno fa e prima del covid, il preside ci ricordava di non incorrere nella “culpa in vigilando” durante la ricreazione, quando gli adolescenti danno sfogo al bisogno di correre e tra i docenti serpeggia il bisogno di scambiare quattro chiacchiere, seguendo le scorribande degli studenti con la coda dell’occhio. Che spesso con basta. Le disgrazie purtroppo succedono anche in condizioni di vigilanza. A me capitò che una incauta pallonata durante la ricreazione provocò quasi un distacco di retina a uno studente. I genitori trovano utile – e talvolta comodo – delegare ad altri la responsabilità dei minori, che sono delle mine vaganti. Impossibile abbassare la guardia, in qualsivoglia circostanza, privata e pubblica. Cordoglio per i genitori, un pensiero di solidarietà per gli animatori, un fiore bianco per la sfortunata Maria.
Onomastico odierno
Oggi 29 luglio, il calendario riporta santa Marta, in onore di Santa Marta di Betania, sorella di Lazzaro e Maria di Betania, amica di Gesù. La santa è patrona delle cuoche, degli osti, degli albergatori, dei padroni di casa, degli ospizi, delle massaie e delle casalinghe…pertanto mi pongo sotto la sua protezione, come padrona di casa e casalinga (sperando che abbia posto). Conosco due persone con questo nome che è anche il secondo nome della mia amica Lucia che lo ha ereditato dall’amata nonna. È uno dei nomi femminili più antichi esistenti, già molto diffuso in ambienti orientali dal V secolo a.C. Forse deriva dall’aramaico Miryam, antica forma dialettale di Maria, oppure dall’ebraico Mar e quindi significa ‘signora, padrona’. Le è associato il colore verde. Per quanto riguarda le qualità personali, le vengono riconosciute: semplicità, devozione, amicizia, sincerità e dedizione alla famiglia. Con un pizzico di estrosità. Il suo animale di riferimento è l’allodola, la pianta il tulipano e il colore blu. C’è anche un comune italiano con questo nome, nel Lazio, in posizione pittoresca sulla sponda meridionale del lago di Bolsena. Questo il frutto della mia breve ricerca in internet. Conosco due persone che si chiamano Marta da poco, ma le ho subito percepite come amiche, per il modo di fare cordiale e sincero. È proprio il caso di dire “Nomen omen”, che tradotto dal latino significa “Il nome è un presagio” nel senso che i Romani credevano che nel nome della persona fosse indicato il suo destino. Beh, care Marta, a voi rendere omaggio al bel nome che portate. Io brindo alla vostra salute e sono onorata della vostra amicizia. Comunque buon onomastico a tutte le donne di nome Marta! 💐
I ricordi sono valori
Incrocio Lina, la madre di Gabriella, la titolare del bar Mirò verso cui mi sto dirigendo a fare la seconda colazione, quella con annessa lettura del quotidiano (la prima alle sei a casa mia). La signora Lina – al suo paese Noemi – è una splendida 82enne, madre di sei figli (4 femmine e 2 maschi), nonna di 18 nipoti (Gianluca appena laureato in Ingegneria Meccanica e Meccatronica, altri due laureandi l’anno prossimo) e di un pronipote, Nicolas. Lina ha gestito, col marito Giovanni “al comando”, il locale Montegrappa per molti anni, dove ha continuato ad offrire la sua opera in lavanderia o pulizie anche quando la gestione è passata al figlio Luca. Stamattina indossa una camicetta ricamata bianca a maniche corte, in tinta coi capelli, sulla pelle abbronzata ma non al mare, bensì in giardino. Con un sorriso invidiabile mi informa di un progetto letterario cui sta lavorando: le sue memorie, da lasciare in eredità ai molti familiari “perché i ricordi sono un valore”. Mette le mani avanti riguardo alla forma, perché ai suoi tempi non era previsto che le bambine si dedicassero agli studi, ma di strada ne ha fatta questa donna che si entusiasma all’idea di produrre un’opera basata sulle sue testimonianze ed emozioni. Sono onorata della confidenza che mi fa e mi metto al suo servizio, se posso giovarle. Lei non sa che mi sta iniettando una dose di energia in un momento di stanchezza creativa. Invecchiare dando lustro al passato e lasciarlo in eredità ai propri cari è un super progetto, che ammiro. Ma non è finita qui. Siccome Lina è devota alla Santa Maria Vergine, mi confida che ha in mente di andare in Terra Santa, a settembre, per ringraziare delle grazie ricevute, unendo ricordi e riconoscenza. Straordinaria! Ad averne, di mamme e nonne così!
Sofferenza e Resilienza
Stamattina 24 gradi, nuvoloso: una meraviglia, dopo tanta canicola. Le previsioni in tivù dicono temperature in calo, meno che per le Venezie…spero che il bollettino venga smentito dai fatti. Agosto è alle porte e ci porterà l’acqua che manca, se il proverbio “Pioggia d’agosto rinfresca il bosco” è ancora credibile. La siepe di casa mia è ancora verde, ma l’erba è decisamente brulla e i gladioli – i fiori di questo periodo – non sono sbocciati. Avevo interrati una quarantina di bulbi ad aprile, soffocati dal caldo. In sofferenza è anche il cornus florida messo a dimora la primavera scorsa, che quest’anno non è nemmeno fiorito! “Dovevo bagnarlo mattina e sera” mi è stato detto. Difficile, con le ordinanze riguardo il contenimento dell’acqua. Ma il mio è un problema marginale. Penso ai danni che la siccità ha recato all’agricoltura e a molti altri comparti, compreso quello della balneazione. Leggo che a Caorle e ad Eraclea sono bloccate le docce nelle spiagge, impensabile anni fa. Tempo addietro vedevo con piacere la dedizione dei giovani, compreso mio figlio, al mondo green, ma ora devo ricredermi. Non so dove un trentenne oggi potrebbe andare a parare, per sentirsi tranquillo: è tutto molto complicato e poco rassicurante. Mi mantengo realista con un pizzico di ottimismo imposto dalla volontà. Cerco aiuto nella creatività e nel bello, soprattutto quello non appariscente che si nasconde dietro a ciò che abbiamo sotto gli occhi: i miei gattini che giocano, un profumo, un sapore, un colore…il pensiero che domani riservi sorprese inattese. Oggi mi godo la temperatura clemente e mi accontento. Un leggero vento fa vibrare le fronde dei noci che ombreggiano il camminamento verso il camposanto. Le lagerstroemie del viale di fronte casa mia sono fiorite e offrono uno spettacolo di invidiabile resilienza. Da copiare.
“Essere madri è anche faticoso”
Se posso, evito di parlare di fatti troppo duri che aumentano la mia percezione negativa, anziché alleggerirmi. Mi riferisco alla morte della piccola Diana, 18 mesi, abbandonata per giorni dalla madre snaturata che l’ha lasciata imbottita di tranquillanti (che avrebbe fatto meglio a prendere lei, vogliosa di divertirsi) e qualche biberon di latte. Mi fa male perfino a scriverle, queste cose. Però ci provo, stuzzicata da ciò che leggo sulla rubrica “Passioni e Solitudini” della dottoressa Alessandra Graziottin, di cui riporto testuali parole: “La mitologia della maternità, così forte nel nostro paese, tiene nell’ombra la complessità della maternità. Essere madri è anche faticoso. Richiede sacrifici, non solo di tempo, e rinunce”. Nel titolo dell’articolo è inclusa la denuncia degli indifferenti, complici di tanta tragedia. Io non so quanto la madre abbia recitato o sviato eventuali sospetti di abbandono, le indagini potranno chiarire. Era successo che avesse anche lasciato i cani senza cibo e acqua per giorni. Inviava foto della figlioletta alla madre per coprire la sua assenza e illudere che fosse tutto ok, mentre la realtà era di crudele abbandono. Suppongo che qualcuno le avrebbe dato una mano, se l’avesse chiesto. Sarebbe stata più tranquilla perfino lei, se avesse affidato la bambina a qualcuno, a pagamento o a gratis. La piccina ha finito di soffrire, la madre no. Comunque recupero un passaggio dell’articolo della Graziottin su cui posso dire la mia, con cognizione di causa: Essere madri è anche faticoso. Senza ombra di dubbio, specie se si è single e sostenute da una buona dose di presunzione di farcela da sole. Oppure costrette da contingenze reali a sostituire l’altro genitore mancato. Inevitabile pensare alle vedove di guerra di ieri e di oggi. La realtà rifila un conto lievitato, che costringe a rivedere la posizione iniziale: se qualche casella del puzzle è vuota, urge rimboccarsi ulteriormente le maniche per colmare i vuoti. Infine, quando il figlio è grande e autonomo, è una grande soddisfazione constatare che va per il mondo con le sue gambe. Sono molto orgogliosa di essere anche madre, ma non ritengo assoluto questo ruolo, perché una persona ha varie occasioni per esprimersi e dare il meglio di sé. A qualcuno riesce meglio nel privato, ad altri nel sociale, mentre i più dotati riescono bene in entrambi. Pacifico che ogni percorso costa fatica. La parabola del seminatore insegna.
Anniversario
Oggi, 25 luglio, avrebbe compiuto gli anni Gianna, coetanea e collega insegnante di Lettere, prematuramente scomparsa, un paio di mesi prima della pensione, otto anni fa. Sabato 3 maggio 2014 avremmo dovuto uscire con le rispettive classi terze per un visita di istruzione sul monte Grappa, organizzata da lei nei minimi dettagli, che avvenne: senza di lei, colta d’infarto la sera prima. Non una morte in servizio, ma quasi. Non l’ho dimenticata, perché lei era una persona speciale, di quelle che lasciano il segno. Risento ancora la sua risata liberatoria e la voce argentina, come l’acqua zampillante nei pressi del supermercato a Cavaso dove talvolta ci incontravamo, completando discorsi avviati a scuola o progettando attività da avviare a scuola: cinema, teatro, lettura, giochi di parole…tutto era un’occasione per rendere attrattiva la lezione. Praticamente nata per la scuola, e i suoi studenti lo confermano, specie i primi, quelli che ora viaggiano verso i cinquant’anni. Non l’ho conosciuta a fondo, ma ho apprezzato le sue qualità umane e professionali che si espandevano in parrocchia. Tra i miei “gingilli” scolastici ho rinvenuto un sottile cuore di legno, provabile dono di Gianna, con impresse queste parole: “Un vero amico non si riconosce dalla felicità che provi quando stai con lui, ma dal vuoto che lascia quando se ne va”. Siamo in molti a sentirne la mancanza. Personalmente mi manca quello che avremmo potuto fare insieme: volontariato, dove lei era una punta di diamante, gustare insieme un concerto e un buon film, anche soltanto scambiare quattro chiacchiere davanti a un gelato dove si scioglievano problemi privati e di scuola. In questo lungo periodo di pandemia, aggravato dalla guerra e tensioni varie, mi chiedo come Gianna avrebbe reagito. Provo a intuirne la risposta, ma potrei sbagliare. Comunque pensarla mi fa bene, osservare le sue foto è quasi come averla difronte…e ne ricavo l’imput a reagire, a cavalcare l’onda, come lei aveva fatto in vita, piena di interessi e di progetti. Perché Gianna non era tipo da riposo. Forse per questo se n’è andata presto. Ma conta ciò che ha seminato. Ciao Gianna, non ti abbiamo dimenticato!
Post esperenziale
Oggi uscita liberatoria in Val Canali, poi su a san Martino di Castrozza a goderci le Pale di San Martino in buona compagnia di Lucia, Gianni e Alessio. Prima fermata al laghetto Welsperg, dove i polmoni si dilatano, le narici si inebriano dei profumi del sottobosco e gli occhi godono dell’artigianato ligneo, nonché del panorama. Inevitabile immortalare, anche se le cime sono offuscate e prevalgono altri soggetti: fiori, laghetti, paperette, manufatti grandi e piccoli di legno. La temperatura è clemente, anzi diciamo deliziosa: 23 gradi percepiti quassù, contro i 36 percepiti dalla base, cioè da casa. Passeggiare è un piacere, anche per una pigrona come me. Prima di pranzo, il profumo della carne alla griglia stuzzica il palato, tanto che poi sedersi a tavola è un piacere. Il menù prevede: piatto tipico (polenta, salsiccia e tosela), canederli, tagliere di formaggi con mostarde di accompagnamento, patate arrosto, insalata mista, coppa amaretto che da sola si meriterebbe un encomio. Il tutto innaffiato da cabernet e… acqua per gli astemi. Dopo il lauto pranzo, imbastisco a quattro mani con Lucia il post “sensoriale” di oggi. Tra verde e profumi, ci stiamo rilassando che quasi ci concediamo un riposino sull’erba. L’uscita non si conclude qui, perché ci saranno gli extra durante il ritorno. Intanto condivido coi lettori questo “laboratorio esperienziale”, augurandovi buon pomeriggio!
Danni da caldo
Mi imbatto in una parola nuova, “demontificare” che riguarda la discesa anticipata dai monti degli animali ospitati nelle malghe, causa siccità, solitamente fissata al 15 settembre. Tra Grappa e Prealpi sono in sofferenza ampie zone e gli animali sono già sotto stress. Le mucche, in particolare, stanno producendo dal 10 al 20 % in meno di latte. “La situazione è drammatica – denuncia il vice direttore di Coldiretti Michele Nenz – i prati sono secchi e le greggi sono quindi costrette a spostarsi sempre più dentro ai boschi o a tornare a valle”. Stamattina, Lara, la mia amica parrucchiera mi diceva che una sua cliente che gestisce un agriturismo vicino al Tempio di Possagno e ha animali in montagna, è costretta a portarci su l’acqua: quando le bestie sentono arrivare il mezzo con le taniche, corrono ad abbeverarsi come fosse una pozza! Quasi incredibile, lo stravolgimento delle abitudini prodotto dall’innalzamento esagerato delle temperature. L’ondata di caldo riguarda anche gli animali selvatici, specie i più giovani. Arriva con tempismo l’invito di Erica a sistemare in un posto consono del giardino una ciotola d’acqua (da sostituire ogni giorno per impedire alle zanzare di deporvi le uova), perché possano servirsene uccellini, ricci e altri piccoli animali. Un piccolo gesto che può fare la differenza. Mi auguro che i lettori del post abbiano a cuore tutte le creature e si attivino per alleviarne le sofferenze. Viceversa non spreco una parola per quegli individui che osano abbandonare un cane, un gatto o altro animale…per andare in ferie. Il paradiso spetta alle creature sensibili, non a chi è senza cuore.
Protagonista il cervello (se c’è)
Oggi, 22 luglio si celebra la Giornata Mondiale del Cervello…fa quasi da ridere, oppure da piangere a secondo di attribuirne dosi elevate o ridotte a qualcuno. Uno slogan che leggo è: “Salute del cervello per tutti” e su questo non ci piove (mannaggia, anche questo modo di dire accentua il problema siccità). L’iniziativa parte nel 2014, grazie alla World Federation of Neurologo (WFN) per sensibilizzare riguardo le malattie neurologiche e neurodegenerative. Quest’anno l’attenzione si concentra sul Morbo di Parkinson, che colpisce sette milioni di persone, di tutte le età, nel mondo. Argomento serissimo che non ammette leggerezza. Io però, da letterata mi riferisco a certi modi di dire, tipo: “Non ha cervello”, oppure “Ha poco cervello”, talvolta usati durante la valutazione collettiva di qualche ragazzo difficile. Ma quello cui penso oggi, riguarda l’ambito degli adulti, anzi preciso, riguarda i parlamentari che ieri hanno dato miseranda prova di sé. Che fosse a posto il loro cervello? Oppure un po’ in sofferenza? Stiamo tutti schiattando dal caldo che non molla la presa. Con tutte le grane che ci troviamo a dover affrontare e risolvere, non era il caso di rincarare la dose. Non so a che ora pranzino i politici (di sicuro “mangiano” parecchio) e non me la sento di augurargli buon pranzo. Eccezion fatta per Mario Draghi e Sergio Mattarella, le più alte cariche dello Stato invidiateci all’estero e inguaiate in Italia, che devono avere alto il pelo sullo stomaco per quante ne hanno dovute digerire. Per loro da oggi, almeno un pranzo più leggero!