Scuola in affanno

C’è poco da fare: anche se sono in pensione da qualche anno rimango un’insegnante e mi duole leggere notizie preoccupanti riguardo la scuola. Dalla rubrica ULTIMO BANCO che lo scrittore Alessandro D’Avena tiene il lunedì sul Corriere leggo l’articolo intitolato Articolo 3 che contiene una somma di incongruenze comunicate all’autore, a sfavore della continuità didattica che ostacolano la relazione docente-discente, pilastro di apprendimenti duraturi. Sappiamo tutti cos’è successo gli ultimi tre anni, quali categorie sono state particolarmente danneggiate, chi ne ha sofferto di più. È altresì arcinoto che il grado di civiltà di una nazione si vede dalla scuola che ha. Ora, quello che arriva dalle testimonianze dirette di professori e allievi non è rassicurante: sorvolo sui fatti, più o meno recenti successi su e giù per lo stivale. Penso a una giovane e motivata collega di mia conoscenza che in classe stringe i denti; si è posta un limite di sopportazione di due anni, sperando che le cose si aggiustino. Dopodiché potrebbe fare come molti altri laureati che hanno cercato soddisfazione all’estero, privando l’Italia di un cambio di energie salutari ed urgenti. Inoltre perderei una giovane amica che come me coltiva la scrittura. Oppure potrebbe cambiare lavoro, come molti hanno già fatto e potrebbe succedere quello che si sta paventando nella sanità: ricorrere alle cooperative e alle strutture private. Mi viene da invocare Santa Scolastica, se può occuparsene. Quando i legislatori misero mano alla Costituzione Repubblicana – ammirata altrove – erano di sicuro in buona fede e non hanno girato attorno alle parole nella stesura dei Principi fondamentali, Articolo tre compreso sull’eguaglianza di tutti i cittadini, senza distinzione di alcunché. È un articolo fondamentale, perché dice che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli per realizzare l’uguaglianza di tutti i cittadini, cosa sottolineata anche dall’estensione dell’articolo. Dalle parole ai fatti non è scontato né facile. Esprimo un desiderio: ognuno faccia il suo dovere, in qualunque grado della scala si trovi, affinché possiamo compiacerci della Scuola rinnovata e coralmente dire Viva la Repubblica!

Giornata del Croissant! 🥐

La notizia è di quelle che fanno sorridere: mi è capitato ieri quando l’ho letta sul web, e subito archiviata. Ma me la ripropone stamattina quel mattatore di Fiorello su Viva Rai 2! Siccome è lunedì, ritengo che un quid di dolcezza in più serva alla ripartenza, perciò la riprendo e la ripropongo: oggi è la giornata mondiale del croissant o cornetto, come si preferisce. Anzi, c’è una differenza: il croissant non ha uova nell’impasto e ha una superficie più friabile. In Italia le parole cornetto, brioche e croissant si usano spesso come sinonimi ma in realtà non sono la stessa cosa. È chiamato così per la forma di mezzaluna crescente; il croissant più buono del mondo si mangia in Australia, dove il New York Times ha scovato la pasticceria che lo produce. L’invenzione del dolce è attribuita all’ufficiale austriaco August Zang, fondatore della pasticceria viennese di Parigi, la “Boulangerie Viennoise” nel 1839. Sul web si trova ‘la Ricetta originale passo passo per fare i Croissant francesi’; è disponibile anche una ricetta veloce. Però io passo la mano e vado a gustarmeli al bar: da Gabriella al bar Mirò in paese, da Diego allo snack bar Milady a Onè di Fonte, oppure al Pepita Cafè da Paolo a Crespano del Grappa. Li consumo in alternativa ai muffin che faccio in casa, da quando frequento il bar… ovverosia da parecchio, di mattina per la seconda colazione, accompagnata dalla lettura del quotidiano. Anche se l’argomento può sembrare futile, l’alimentazione è importante, tuttavia non mi azzardo in questo ambito dove i dietologi potrebbero fornire dati contrari al consumo di carboidrati. Io mi permetto il dolcetto di mattina – e non sempre – perché poi ci cammino sopra parecchio. In ogni caso, salvo diverse indicazioni mediche, sono convinta che per ‘carburare’ serva anche il dolce, dal tempo del latte materno. E che si chiami come si vuole…magari torta della nonna, ad avercela! Dolce giornata, a domani! 🥐

I giorni della merla

Ci siamo: 29, 30 e 31 Gennaio sono conosciuti come i Giorni della Merla, secondo la tradizione i tre giorni più freddi dell’anno. Beh, che sia freddo mi pare normale: siamo in inverno, capitato piuttosto bruscamente dopo un autunno lungo e caldo. Le previsioni meteo attendibili non vanno oltre i cinque giorni, perciò mi sembra che non ci sia nulla di nuovo sotto l’orizzonte. Se c’è il sole, come oggi sono più contenta, mentre l’umido e la pioggia mi intristiscono. Tornando ai giorni della merla, la leggenda più quotata è quella della merla bianca, rifugiatasi in un comignolo coi suoi piccoli per ripararsi dal freddo intenso, da cui se ne partì col piumaggio diventato scuro, per via della fuliggine. Ma trovo attraente anche un’altra leggenda, di tradizione pagana, secondo cui la merla è vista come messaggera dell’arrivo della primavera. Gli antichi vedevano gli uccelli come messaggeri degli dei. Persefone (o Proserpina in latino), dea degli inferi e dell’oltretomba, rapita da Ade che se ne è invaghito, può uscire dalle tenebre solo con la bella stagione, previo avviso alla madre Demetra (Proserpina o Cerere in latino) che presiede la natura, i raccolti e le messi. Informa del suo arrivo attraverso un uccello messaggero, la merla appunto. Trovo intrigante l’intreccio tra inverno e primavera, tra ‘Inferi e Superi’, tra figure mitologiche e creature umane. Il culto della dea Persefone era particolarmente diffuso, per la molteplicità dei significati: fertilità della natura, morte e rinascita, il ciclo delle stagioni. A me piace assai che gli uccelli siano considerati messaggeri degli dei. Abitando il cielo, sono equidistanti tra noi terreni e il divino. Sentirli cinguettare, anche senza conoscere le leggende mitologiche pure affascinanti, per me è un conforto. Vale anche per i pennuti che non cantano, merla compresa.

Anatre mondine

Ieri, a metà pomeriggio vedo un delizioso documentario su Rai3, durante la trasmissione geo. Girato a Robecco sul Naviglio, a breve distanza dal fiume Ticino e dal confine con la regione Piemonte, è ambientato in una cascina che mi sembra il paradiso terrestre. Il titolo del servizio la dice lunga: Le mondine con le ali, che poi sarebbero le anatre, allevate ed istruite per ‘mondare’, cioè tenere pulita la risaia dalle erbacce come mondine speciali. Pratica impiegata da millenni nel sud-est Asiatico, oggi ripresa anche in Italia e che consente di effettuare un’agricoltura veramente rispettosa dell’ambiente. La parte iniziale del servizio fa vedere la schiusa delle uova, i primi goffi passettini degli anatroccoli, il loro primo incontro con l’erba e poi con l’acqua… fino all’età ‘adulta’ quando sciamano come una scolaresca alla fine delle lezioni verso la canaletta dove cresce il riso, da ripulire dalle erbe infestanti. Nella cascina non viene praticata l’agricoltura intensiva, ma si bada alla biodiversità, evitando l’uso delle sostanze chimiche. Il ragazzino figlio dei titolari – provvisti di laurea – si chiama Olmo (il nome non è casuale, immagino) ed è molto attratto dai mezzi agricoli, mentre la sorella aspira a fare la veterinaria da grande. Tutto torna e mi richiama alla mente la casa colonica di mia cugina Morena dove gli animali erano parte della famiglia e un uccellino prendeva il cibo direttamente dalla bocca di zia Osanna. Se la natura potesse ritornare al centro del benessere delle persone e non praticata per gonfiare il portafoglio sarebbe tutto più a misura d’uomo. Non per tornare indietro, ma per compenetrare esperienze del passato con quanto può offrire la tecnologia, senza stravolgere l’ambiente. Nella cascina a Robecco convivono diversi animali: polli, maiali, cani, asini…e le adorabili anatre, che hanno appreso presto e bene il compito di spaza foss (ripulire i fossi), in dialetto lombardo. Mi piacerebbe tanto accarezzarle, le anatre dal piumaggio colorato e dalla struttura flessibile, ottime nuotatrici e disciplinate scolarette!

Giornata della Memoria

La memoria è lo scriba dell’anima (Aristotele) Liliana Segre (Milano, 10.9.1930) si dice preoccupa per la trasmissione della memoria, ovverosia teme che i tremendi fatti legati alla Shoah cadano nel dimenticatoio. La senatrice a vita, sopravvissuta al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau ritiene che nei libri di storia non resterà neanche una riga. Il suo pessimo al riguardo è palese e lo ha manifestato durante l’incontro con il sindaco di Milano Giuseppe Sala, per presentare le iniziative milanesi del Giorno della Memoria, oggi appunto. Mi auguro che la sua percezione sia per eccesso, perché la memoria è un valore, e su questo non ci piove. Casomai potrebbero essere riviste le modalità con cui si rende visibilità alle vittime delle guerre: talvolta il silenzio è più rispettoso dell’insistenza tematica. Comunque a me non pare che ci sia fastidio riguardo a questo argomento e anche i palinsesti delle varie reti lo propongono: va da sé che proporre non equivale a imporre, ognuno ha una coscienza e agisce di conseguenza. Quando andavo a scuola io, non si parlava di foibe e nemmeno di Shoah, non si invitavano reduci dal campo di sterminio e non si leggevano autori che ne trattassero. Qualcosa si è mosso e la paura di parlarne è stata superata. La parola scava come goccia la pietra. Piuttosto è naturale che i testimoni si assottiglino, data l’età avanzata e questi dovrebbero essere tenuti in gran conto, magari persuadendoli a testimoniare. Però è vero che molti hanno scelto la strada del silenzio, per non rinnovare la pena, che trattenuta diventa un insopportabile macigno, secondo il seguente proverbio del calendario filosofico: “Le cose che non dici per non ferire feriscono te”. A mio dire, “il pericolo dell’oblio” paventato dalla Segre è un’ipotesi che dubito abbia seguito. La mia percezione è che il valore della memoria venga coltivato, anche se protetto da una rete di riservatezza. Nel mentre mi procuro il suo libro La stella polare della Costituzione che contiene il suo discorso del 13 ottobre 2022 a Palazzo Madama e la seguo in compagnia di Fabio Fazio stasera su Rai 1, ore 20.35 🥀

Spes ultima dea

Spes ultima dea. Oggi 26 gennaio, Giornata di preghiera per la pace in Ucraina, proposta da Papa Francesco; domani sarà la Giornata della Memoria per ricordare la Shoah e le vittime di tutte le guerre. Due date consecutive che contraddicono il detto “La Storia è maestra di vita”. Per riportare correttamente la frase di Antonio Gramsci: La storia è maestra, ma non ha scolari. Quindi gli errori si ripetono all’infinito, concetto espresso anche da diversi poeti. Evito di trattenermi in ambito letterario, a me più congeniale e ritorno all’invito del Santo Padre. E qua mi blocco, perché non sono abituata a pregare, nel modo convenzionale intendo. Però credo che farlo collettivamente sia una maniera quantomeno per riflettere ed interrogarsi sull’assurdità di un conflitto che non sembra risolversi. Al termine dell’Angelus di domenica scorsa, il Papa ha lanciato un appello a tutte le persone di buona volontà, perché elevino preghiere a Dio onnipotente, affinché ogni azione e iniziativa politica sia al servizio della fratellanza umana, più che di interessi di parte. Ecco, dubito che i politici coinvolti – Putin, Zelensky, Biden – siano persone di buona volontà. Ognuno ha ragioni da addurre per giustificare il suo operato; io mi intendo poco di politica e sono convinta di una cosa: le vittime sono sempre alla base della scala, anzi del sottoscala dove cercano scampo ai bombardamenti, talvolta perfino del ‘fuoco amico’. La diplomazia fatica a trovare una soluzione e intanto si allunga l’elenco dei morti, civili e militari, da una parte e dall’altra. D’altronde, cos’altro potrebbe fare il Papa, se non chiamare a raccolta i fedeli e chiedere a Dio di trasformare le nostre armi in strumenti di pace, le nostre paure in fiducia e le nostre tensioni in perdono? Voglio sperare che anche i non credenti siano d’accordo sulla necessità di finire la guerra, entrata a gamba tesa in un panorama già compromesso dalla pandemia e dalla siccità. Non resta che incrociare le dita, sperare e pregare. 🙏

Gli esami non finiscono mai

Ieri 24 gennaio 2023, Giornata dell’Istruzione e dell’Educazione, istituita nel 2018, dedicata al valore della scuola, dell’istruzione e dell’educazione, valori percepiti in modo assai diverso in Paesi lontani da noi, ma emotivamente vicini. Resto ‘in casa’ per non allargarmi su un terreno minato e mi limito a un paio di riflessioni. La prima me la offre una frase di Albert Einstein: Non considerare mai lo studio come un dovere, ma come un’invidiabile opportunità. Invito che farei ai miei studenti, se fossi ancora in servizio, perché mi ricordo la difficoltà di convincere gli adolescenti ad investire in sacrificio e cultura. Certo non è facile motivarli, coi tempi che corrono e con l’invadenza dei social che fa sembrare facile anche ciò che non lo è. Naturalmente estenderei l’invito a continuare a studiare anche ai genitori e agli adulti in genere. Io stessa continuo a imparare, nonostante sia pensionata. La seconda riflessione me la offre un ricordo, che si commenta da solo. Mia madre, friulana doc, classe 1923, di famiglia povera e numerosa, finite le elementari studiò da privatista – dopo essere stata a servizio – per accedere alla scuola di ostetricia di Udine, dove si diplomò con 50/50esimi il 29.06.1945: una storia di riscatto come altre, per fortuna. Comunque mi ha sempre fatto impressione un dettaglio del suo percorso: alla maestra che la seguiva negli studi intermedi, intendeva regalare cinque uova che nel percorso da casa sua a quella dell’insegnante caddero e si ruppero. La maestra la premiò con cinque pennini, uno per ogni uovo…rotto! Penso ai genitori che regalano il motorino ai figli se vengono promossi…e poi non si preoccupano dove vanno a scorazzare e se fanno danni… Personalmente ritengo che la vera ricompensa dell’applicazione stia dentro la persona e non in un oggetto, specchio spesso delle carenze educative. Sull’istruzione, che è cosa diversa dall’educazione non ho titolo per esprimermi, ma so che non termina con la conclusione di un ciclo di studi, persuasa come diceva il grande Eduardo De Filippo che Gli esami non finiscono mai.

Congedo

CONGEDO Se scrivessi su commissione, eviterei di trattare argomenti leggeri e/o privati. Come precisato in altre occasioni, postare un pezzo ogni giorno mi consente di fare un po’ di ginnastica mentale da una parte e dall’altra di esprimermi riguardo fatti spesso di attualità ma anche privati, come quello odierno: il congedo definitivo della mia amata Panda 750 young… che ha affrontato il suo ultimo viaggio verso il centro di demolizioni Comauto di Bassano del Grappa. Partenza da casa alle 10, io con la panda azzurra e mio figlio con la panda pavone, sotto una pioggia battente. Sono intestataria di entrambe le auto, perciò devo essere presente per le pratiche. Saul ha ‘ereditato’ la Pandina nel 2016 dopo che fu miracolosamente rimessa in strada, nonostante il consiglio fosse di rottamarla a seguito dell’incidente stradale subìto che mi procurò la frattura dello sterno. Rimase in carrozzeria un bel po’ ma ne uscì abilitata. Nel mentre dovetti provvedermi di un’altra auto che è quella in uso. La panda young, invecchiata con me ha continuato a fornire un dignitoso servizio per altri sette anni a mio figlio, per un totale di 30 (trenta). Un’amica dice che se ci affezioniamo troppo alle cose significa che siamo agè (vecchi), un’altra che le cose sono proiezione di noi…per me le considerazioni sono entrambe valide: con la panda color pavone andavo a ballare da ragazza, poi ho trasportato mamma, figlio, gatti e cani…infine l’ha guidata Saul. È diventata una prosecuzione della famiglia, vederla parcheggiata o sentirla arrivare mi dava conforto. Comunque c’è un tempo per tutto, compreso il riposo. Ho tolto coprisedili, una busta pronto-soccorso e ho posato con lei per l’ultima foto, fatta anche al contachilometri: 311.864 (ma il motore era già stato cambiato un paio di volte). Fine corsa con onore, di un’auto che mi porto nel cuore.

Lo scrittore degli ‘ultimi’

Ho letto anni fa Capriole in salita, di Pino Roveredo, scrittore triestino morto sabato a 69 anni dopo una lunga malattia. È il libro dell’esordio che gli diede una certa notorietà e che mi impressionò per i temi dell’emarginazione e del male di vivere trattati. L’autore ne scrisse poi altri, attingendo alle sue dure esperienze personali: figlio di genitori sordomuti e poverissimi – il padre era calzolaio – trascorre l’infanzia, tra soprusi e maltrattamenti in collegio, da cui fugge e sperimenta alcolismo, prigione e manicomio. Per fortuna trova una ragione di vita nella scrittura e si crea un suo spazio nel mondo letterario, vincendo nel 2005 il Premio Campiello, con il romanzo Mandami a dire, a pari merito con Antonio Scurati “per la sua penna ispirata, per la caratura morale”. Era diventato volontario, operatore di strada, educatore, garante per i diritti dei detenuti del Friuli Venezia Giulia e della politica. Beh, una vita difficile, vissuta intensamente, trasformando le difficoltà in risorse. Si è sempre occupato degli ultimi che ha messo al centro delle sue storie di emarginazione e solitudine. La Fondazione Il Campiello lo ricorda per il suo impegno sociale e letterario nei confronti degli ‘ultimi’, l’eredità più grande che dovremo raccogliere. È mia intenzione rileggere il primo romanzo autobiografico e prenderne in considerazione qualcun’altro della vasta produzione: La città dei cancelli, Ballando con Cecilia, Mandami a dire, Caracreatura, Attenti alle rose, Mio padre votava Berlinguer, Mastica e sputa… e l’elenco continua. Vasta anche la sua produzione teatrale. Credo amasse i gatti che vedo in alcune foto che lo riguardano, il che lo rende ancora più ‘empatico’ al mio sentire. Uno scrittore che merita.

Arti che aiutano a vivere

Quarta domenica di Gennaio, fredda: è normale. Vado al bar e non riesco a leggere il quotidiano, nelle mani di un altro avventore: è normale perché di domenica c’è più afflusso di gente e perché uno dei tre locali – peraltro vicini – è chiuso per ferie. Vado in cartoleria, a due passi e me lo compero, cosa che potrei permettermi di fare ogni giorno, ma non è la stessa cosa cercare notizie a casa. Mi serve anche uno scambio di battute con chicchessia e carpire qualche notizia fresca dai clienti. Ho già espresso l’idea che per me il bar è come una biblioteca umana in miniatura, un po’ come il mercato, luogo cui sono affezionata. Tra una cosa e l’altra faccio tardi, riesco solo a dare un’occhiatina al fascicolo la Lettura allegato al CORRIERE DELLA SERA dove trovo a pag.38 pane per i miei denti, considerata la mia deformazione professionale di ex insegnante: Musica, educazione civica, cura del corpo…e teatro…ci sono arti che aiutano a vivere. E misurano la qualità di una democrazia. Mi basta il titolo per dire la mia, dopo pranzo leggerò per esteso l’articolo e il resto del giornale. Penso al mio percorso di studi, alle difficoltà di essere docente – e anche discente – oggi, a quanto sarebbe bello poter usufruire di una scuola stimolante, propositiva, aperta anche agli adulti pure di sabato e domenica, da poter visitare sempre, come i musei e le biblioteche. Così la gente che si accalca nei centri commerciali i giorni festivi potrebbe trascorrere più utilmente il tempo e tornerebbe a casa magari più contenta, con il portafoglio intatto. L’ignoranza è un deterrente della crescita intellettuale ma può tornare utile nelle alte sfere, per tenere docile la base, evitando contestazioni. Voglio sperare che gli errori fatti servano a un cambio di marcia, perché c’è un grande bisogno di sostegno e di recupero. Non solo degli alunni.