O tempora o mores/ Che tempi che costumi

Non mi ha mai attratto il genere western, meno che per le superlative colonne sonore di Sergio Leone. Vedersi riproporre scene da far west sotto casa, dev’essere drammatico. Mi riferisco a quanto capitato a Latina, dove un colpo di pistola ha ferito alla caviglia Martina, vent’anni durante una zuffa con sparatoria davanti ad un bar. Il colpo non era indirizzato a lei, ma tant’è. La giovane era seduta a un tavolino e stava ragguagliando la madre su ciò che stava succedendo. È scappata terrorizzata col bossolo nella gamba: soccorsa e portata in ospedale è fuori pericolo. Ho sentito il padre, altamente preoccupato ma neanche adirato contro l’autore del colpo: tanto di cappello! Ma la delinquenza viaggia per tutta la penisola. A Parma la microcriminalità esplode nel weekend, mentre a Bergamo un 85enne si trova in camera due persone incappucciate che gli chiedono denaro. Mimmo/Domenico, ex maresciallo della Guardia di Finanza aveva già subito altre aggressioni: di fronte ai ladri estrae da sotto il cuscino la pistola, spara un colpo in aria e li mette in fuga. Un coraggio da leone che però lo ammutolisce al pensiero di ciò che avrebbe potuto succedere. “Non chiamatemi eroe” dichiara. Il primo pensiero che mi viene è che sono fortunata a vivere in Pedemontana, al riparo – forse e per ora – da episodi di cronaca nera. Intuisco che molte cose non funzionano perché a suo tempo non sono stati presi provvedimenti adeguati. Non ho la competenza per avanzare soluzioni. Mi spiace per chi è in prima linea ad affrontare situazioni emergenziali. La seconda riflessione è che, dato il quadro politico mondiale, quello nazionale ne risente, con buona pace dei detrattori di chi sta al governo, santo o diavolo che sia. La celebre esclamazione di Cicerone “O tempora, o mores” (Che tempi, che costumi) è sempre attuale. Lascio al lettore altre considerazioni, magari da condividere.

La meglio gioventù

29 giovani sono stati premiati dal Presidente Sergio Mattarella Alfieri della Repubblica. Pare che la parola alfiere derivi dall’arabo e indichi il grado di chi portava lo stendardo delle milizie nel medioevo e nell’età moderna, ovverosia il portabandiera: il soldato che era deputato a portare il vessillo del suo esercito. Per estensione, un apripista, un esempio di operosità in ambito sociale. Io ho conosciuto una persona di nome Alfiero, quindi il termine è usato anche come nome proprio. Comunque la cosa interessante è la motivazione per cui i suddetti 29 giovani – il più piccolo di soli 9 anni ha salvato la vita al papà – sono stati premiati. Sei dei premiati sono giovani romagnoli che si sono spesi durante le prime ore dell’alluvione in Emilia Romagn. Premiati anche 4 giovani veneti, “Esempio di solidarietà”. Il più giovane di loro, il 14enne Matteo Ridolfi, ha salvato la vita a un uomo colpito da infarto, praticando il massaggio cardiaco appreso in una nota serie televisiva. Curiosa la storia dello scrittore solidale Damiano Toniolo, 15 anni che durante il lockdow ha scritto un libro autobiografico sulla sua passione per le galline, devolvendo il ricavato della vendita del libro in beneficienza. Qua mi fermo, per non togliere la soddisfazione a chi volesse scoprire i meriti degli altri giovani premiati, nati dal 2000 in poi, protagonisti di bellissime storie di altruismo e solidarietà, molte per l’ambiente e la cultura. Questa è davvero la meglio gioventù che fa sperare in un futuro più umano. Mi auguro che il premio venga diffuso nelle comunità e nelle scuole di ogni ordine e grado, per stimolare ammirazione e portare allo scoperto tanti altri alfieri. Ll

Arte e Fede

Di prima mattina seguo il programma A Sua Immagine che anticipa la visita del Pontefice a Venezia. Verso le nove seguo la diretta. Il Santo Padre, visibilmente affaticato si rivolge alle circa ottanta detenute del carcere femminile della Giudecca che ospita il Padiglione vaticano alla 60esima Biennale Arte di Venezia, intitolato “Con i miei occhi”. Un incontro con l’arte, la fede e gli ultimi, recuperato da Paolo VI e Pio X che sottolinea il rapporto privilegiato tra cristianesimo e arte. Centrale il passaggio di Papa Francesco che afferma: “L’artista è un bambino” e agli artisti dice: “Siete occhi che guardano e sognano”. Il carcere diventa un cantiere della ricostruzione e le opere d’arte sono finestre senza sbarre. L’arte è un veicolo di bellezza con molte declinazioni. Dirompente la sua importanza nel sociale quando diventa metafora della guerra, della disabilità, dell’emarginazione. Tra l’altro, il tema della Biennale di quest’anno è “Stranieri ovunque” che la dice lunga. Presenti Nordio, Zaia e altri notabili, vedo il pellegrinaggio composto delle detenute e dei molti ospiti che omaggiano il Santo Padre. Intuisco le dolorose storie che hanno portato le detenute in carcere, trasformandone diverse in artiste. Mi piace molto il concetto dell’arte come riscatto e motivo di elevazione. In ogni individuo c’è sete di bellezza e la bellezza può fare miracoli. Il problema è mettersi in ascolto e non lasciarla scappare quando ci passa davanti. Superfluo ricordare che l’Italia è unica al mondo per il suo patrimonio artistico con ben 59 siti Unesco. Dopo la Salute e la Libertà, per me l’Arte è il più bel dono che ci accompagna nel variegato, e a volte tortuoso percorso della Vita.

Salute, bene individuale e collettivo

Apro il balcone all’alba: sento il richiamo degli uccelli nel cielo assonnato. Da quando sono stata dimessa dalla clinica Villa Berica di Vicenza con l’anca destra rinnovata mi godo ogni piccolo progresso. In casa mi muovo senza stampelle – un gioco nuovo per Fiocco, il gatto rosso – che uso per brevi tratti fuori. Sono incredula di essermi quasi del tutto ristabilita in un paio di settimane, grazie all’abilità del chirurgo Giovanni Grano e alle mani d’oro del mio fisioterapista Federico Zalunardo. L’ortopedico Guido Mazzocato non mi ha mai fatto mancare il sostegno morale. Ognuno di loro è un tralcio del mio Glicine affettivo, cui aggiungo mio figlio Saul, e le amiche Lucia e Marcella. Io ci ho messo la determinazione di comportarmi da brava paziente e la speranza che andasse tutto bene, come di fatto è successo. Anzi, rispetto all’intervento parallelo cui fui sottoposta per l’anca sinistra all’ospedale di Bassano nel novembre 2021, direi anche meglio. Suppongo che il percorso già fatto mi abbia predisposto a ripetere l’esperienza, confidando nel successo. In sala operatoria, con l’equipe dedita al paziente, l’articolo 32 della nostra Costituzione dimostra quanto la salute sia un bene individuale e collettivo. È stupefacente considerare i progressi della chirurgia in ambito ortopedico, dove lo stesso intervento trent’anni fa richiedeva degenza e convalescenza molto lunghe. Di questi tempi, con i problemi della sanità e le corpose complicazioni burocratiche è doveroso evidenziare ciò che funziona. La genetica aiuta e un pizzico di fortuna non guasta. Un invito a pensare positivo per chi dovesse andare sotto i ferri.

Guglielmo Marconi

Il 25 aprile di 150 anni fa nasceva Guglielmo Marconi (Bologna, 25 aprile 1874 – Roma, 20 luglio 1937), uno dei più grandi inventori della storia moderna. ‘Papà’ della radio, avviò le radiocomunicazioni, vincendo il Nobel per la fisica nel 1909 che condivise col fisico tedesco Ferdinand Braum. La figlia 94enne Elettra, durante un’intervista ricorda il padre che chiamò con il suo nome – Elettra – la nave laboratorio dove effettuò numerosi esperimenti di radiofonia tra le due guerre mondiali. Per inciso, trovo che sia un nome femminile molto bello che avrei scelto se avessi avuto una figlia femmina. L’invenzione della radio è legata anche agli esperimenti di altri ricercatori, tra i quali il fisico russo Alexadr Popov. Curioso: Guglielmo frequentò a Livorno l’Istituto Nazione, scuola privata di tecnica senza conseguire il diploma. Infatti la sua formazione scolastica fu alquanto frammentaria: in sintesi, operò da autodidatta. Imprenditore, inventore, politico italiano gli devo molti confort quotidiani: di prima mattina accendo la radio, più tardi la televisione, poi consulto il tablet con i primi saluti dei miei contatti, quindi mi metto al computer. Da ragazzina ho abitato in Via Guglielmo Marconi. Da un censimento dei nomi più usati per etichettare le strade, quasi 5000 sono dedicate a Marconi, precedute da Roma e Garibaldi, seguite da Mazzini, Dante Alighieri, Cavour, Matteotti e Verdi. Il Belpaese è pieno di talenti. Vie dedicate a Marconi si trovano in Europa; a Montevideo un intero quartiere porta il nome di Marconi, mentre numerose vie si trovano in Nord e Sud America. Mi piacerebbe sapere come l’inventore fosse nel privato. Non mi risulta sia stata scritta una biografia. Ma fa testo la testimonianza della figlia Elettra.

Un talento vivente

Barbara Streisand, un’artista completa: lo sento in coda al telegiornale del mattino su Rai1, in occasione del suo 82esimo compleanno (nasce a Brooklyn il 24 aprile 1942). Cantante e attrice di livello, compositrice, regista e produttrice cinematografica, è anche una donna indipendente e controcorrente. Di origine ebraica, a 16 anni sostiene le sue prime audizioni in teatro, ma senza successo. Il “brutto anatroccolo di Brooklyn” non riesce a farsi apprezzare perché troppo stravagante e lontana dagli schemi imposti. Ma ha un talento nascosto, un’arma segreta: la sua voce. A 18 anni si esibisce nei cabaret e nei locali gay di Manhattan, lasciando il pubblico stupefatto. Inizia la carriera di cantante, senza rinunciare al palcoscenico. Il piccolo schermo svela un altro aspetto del suo talento: un innato senso per la commedia brillante. Con il film Fanny Girl (1968) diventa la star più pagata del cinema americano. Da lì è un’escalation, perché è un’artista camaleontica per natura e passa con disinvoltura da un genere all’altro. Ho visto e rivisto il film drammatico Pazza (1988) dove interpreta una squillo di lusso, accusata dell’omicidio di un anziano cliente: interpretazione superlativa. Vince due Oscar (1969 e 1977) e numerosi altri premi. Nel 1995 riceve il Grammy Award alla carriera e intanto continua a pubblicare album che vendono milioni di copie in tutto il mondo. Scrive pure la sua autobiografia, My name is Barbra (2023) dove racconta la storia della sua vita e della straordinaria carriera. Volevo comperare il libro, però 1000 pagine da leggere per i miei gusti sono decisamente troppe. Lei rimane comunque una leggenda vivente, di cui mi sono interessata anche in un altro post. Una donna piena di talento e di carattere. Lunga vita a Barbra!

Il libro, un passatempo e una terapia

Ieri 23 aprile era la Giornata Mondiale del Libro: lo sapevo ma avevo già scritto il post, pertanto recupero oggi il tema della giornata di ieri, IL LIBRO che per me è un passatempo e una terapia. Ho finito di leggere il ponderoso romanzo La Portalettere, di Francesca Giannone, ambientato in Salento tra gli Anni Trenta e Cinquanta, una saga familiare con intreccio di sentimenti e situazioni dove emerge la figura controcorrente di Anna che porta una ventata di novità in un ambiente patriarcale. Di oltre 400 pagine, non ne avrei affrontato la lettura, se non fossi stata costretta dalla situazione emergenziale sanitaria…a stare ferma. Non male nel complesso, ma preferisco opere più snelle. Visto che scrivo anch’io, coi miei romanzi mi fermo a ridosso delle 200 pagine, per non stancarmi e non stancare. Ovviamente, ogni autore si regola come crede, c’è posto per tutti. Adesso un po’ di cronaca privata legata al mio romanzo Passato Prossimo che sarà presente al Salone Internazionale del Libro di Torino, dal 9 al 13 maggio prossimi, Padiglione 2, Stand F 103. Farà le mie veci la gentile Elisa Simeoni, una delle sei ‘dita rosate’ del blog verbanostra che ringrazio fin da ora. Come d’accordo, Manuel è venuto a darmi una mano per impacchettare le trenta copie, stampare i dati da fissare sullo scatolone, portarlo in posta per la spedizione. Sembra tutto liscio, ma qualche intoppo ha reso indimenticabile l’impresa: non trovavo le cartoline promozionali da inserire nei libri, ho ricevuto nel mentre una telefonata fuori luogo, l’ufficio postale era chiusa in onore di San Giorgio, il santo patrono. Così il buon Manuel ha cercato un altro ufficio per imbarcare, pardon spedire le mie creature letterarie in viaggio per altri lidi. Incrocio le dita. Comunque vada, ho onorato la Giornata Mondiale del Libro con il contributo della mia opera.

Sgomento

Sgomento è la parola più adatta a rendere lo stato di disagio difronte al fatto di cronaca nera successo a Eboli (Salerno) con protagonista e vittima Francesco Pio, un bimbo di 13 mesi, attaccato e ucciso da due pitbull. Feriti anche la mamma e lo zio che teneva in braccio il bambino, forse scambiato per un peluche. Da non crederci. Sento la notizia durante il programma Diario del giorno e sono desolata. Pare che fosse nota l’aggressività dei cani, peraltro lasciati liberi in giardino dal proprietario che si era assentato. Durante la trasmissione appare un cartello con le tre razze di cani ritenute più pericolose (bulldog, rottweiler, pastore tedesco) e viene interpellato un addestratore di cani che dice la sua riguardo al contenimento dell’aggressività dell’animale da parte del proprietario, in questo caso assente e mi pare inconcepibile. Penso al dolore atroce subito dal bimbo e alla tragedia immane piombata in braccio alla madre che non è riuscita a difenderlo. Nei confronti del proprietario dei due animali ‘assassini’, lascio immaginare quale punizione infliggerei, mentre non so quale destino sia auspicabile per i cani. Avevo circa otto/nove anni quando andai a trovare una amichetta, ospite della nonna che teneva un cane lupo – pastore tedesco – alla catena. Senza essere allertata, mi avvicinai con buone intenzioni, ma venni aggredita e morsa al braccio destro, dove il medico successivamente mise delle graffette. Mi è rimasta la cicatrice e il ricordo di un pomeriggio felice trasformatosi in dolore. Per fortuna non in tragedia. Comunque la nonna della mia amichetta avrebbe dovuto impedirmi di avvicinarmi al cane che dei monelli avevano poco prima molestato. Da allora ho riversato tutta la mia simpatia sui gatti, pur tenendo da sempre mio padre in casa diversi cani da caccia, specie cocker. Da adulta ho ripristinato la coppia cane – gatto, godendo della lunga e serena compagnia dei cani Luna e Astro, cresciuti e allevati come componenti della famiglia.

Cedro e Giornata Mondiale della Terra

Leggo il racconto di Mariachiara Ferraro ‘Ode al Cedro’. Finalista XI concorso ‘Il Corto letterario e l’illustrazione’, una dichiarazione d’amore per una pianta longeva venuta da lontano. Ne sapevo qualcosa, grazie alle informazioni della collega che mi aveva supportato prima della pandemia durante la presentazione del mio romanzo Passato Prossimo che ha in copertina il Cedro in prossimità della Chiesetta di Santa Lucia, vicino casa. In questi giorni il romanzo mi ritorna tra le mani, perché partecipa al Salone del Libro di Torino dal 9 al 13 maggio, nella sezione del self publishing, padiglione 2, stand F 103: la copertina con la mitica pianta ritorna protagonista. La bibbia cita spesso il Cedro (del Libano) come esempio di forza e longevità, dato che può vivere fino a 2000 anni. Simbolo di alleanza per gli ebrei che custodiscono gelosamente la pianta, in quanto vicina a Dio per la sua altezza, le imponenti e forti fronde, per il fusto che si innalza verso il cielo. Molto esteso migliaia di anni fa lungo i pendii del Vicino Oriente, oggi nella zona di origine ne sopravvivono solo poche centinaia di esemplari. Tra l’altro oggi è la Giornata Mondiale della Terra di cui l’albero è un simbolo, meglio se ultracentenario come il Cedro. Tornando alla copertina del mio romanzo, la foto è mia, scattata di mattina presto, un giovedì che era il mio giorno libero dall’insegnamento. Allora confondevo il Pino con il Cedro che comunque appartiene alla famiglia delle Pinaceae, ma ha aghi e radici differenti. Sotto forma di infuso può essere usato come medicinale. I frutti sono le pigne. A me colpisce la sua imponenza e, ovviamente la longevità. Mi conforta sapere che ci sono altri esemplari in zona che andrò a salutare, appena mi sarò rimessa in piedi. Intanto, auguri alla Madre Terra!

Scrivere che passione

Stamattina mi sveglio prestissimo, molto prima dell’alba. Provo a riaddormentarmi ma non funziona. Se mi alzo non disturbo nessuno, anzi i gatti fanno colazione prima e poi si fanno un giretto al buio dove si muovono con disinvoltura, viceversa da me. Mi allungo sulla poltrona relax e do un’occhiatina al tablet, prima di chiudere occhio. Con sorpresa vedo che un contatto ha commentato il post di ieri verso mezzanotte, in maniera spiritosa e brillante, dato che a mio dire è una buona penna. Tuttavia la caratteristica che lo contraddistingue è che trattasi di un eccellente camminatore e viaggiatore, cosa che cordialmente gli invidio. Sebbene sia un buon lettore, non si considera un letterato che intravede in me. Onorata del complimento, ci rifletto un attimo: non so dove collocarmi, ma di certo le parole sono pane per i miei denti. Quando scrivo sto bene; se posso condividere emozioni e pensieri è il top! E qui si inserisce un suggerimento del mio lettore che richiama il post di ieri sui gruppi di lettura o Reading Party, come li chiamano a New York. “Potresti proporne uno tu, di gruppo letterario, cara Ada non appena ti sarai ristabilita, e cioè prestissimo” sono le testuali parole che funzionano come una ricarica. Passerò l’idea alle amiche/colleghe del blog verbanostra e speriamo ne esca qualcosa di buono. Una persona che scrive, di solito legge anche volentieri. Giusto ieri ho scoperto che Francesca – una delle sei dita rosate – ha letto il corposo romanzo La Portalettere che sto ultimando. Dovremmo accordarci su una rosa di proposte, darci un tempo largo per la lettura e rispondere a un questionario per la valutazione dell’opera, sul tipo di quelli che usavo a scuola con i miei studenti. La ‘levataccia’ mi ha riservato una sorpresa pro lettura. Non intendo ‘dormirci sopra’.