Il dono del tempo

Prima di riprendermi dal mio riposino pomeridiano – che in realtà parte tardi per incombenze varie – verso le 16.30 su Rai3, la garbata conduttrice Sveva Sagramola intervista l’ospite, Monica su un argomento molto interessante: Economia del dono, ovverosia uno scambio di oggetti e/o servizi senza intervento di denaro. Monica, di cui mi sfugge il cognome e che ha bellissimi capelli ondulati porta l’esempio di una vecchia macchina da cucire donata, con cui è stato attivato un corso per imparare a confezionare capi in proprio. Mia madre mi raccontava che da bambina andava da una sarta per apprendere i rudimenti di taglio e cucito. Con la crisi economica e la necessità di risparmiare, mi pare un’ottima idea. Mi risulta, per diretta testimonianza di un aderente, ora trasferitosi in Piemonte che nel vicino paese di Crespano del Grappa (dove ho insegnato per una decina d’anni nella scuola media Antonio Canova) funzionasse La banca del tempo, dove veniva offerto del tempo per risolvere svariati problemi. Iniziative simili credo siano diffuse un po’ dovunque, grazie all’apporto vitale dei volontari. Insomma, ciò di cui parla il programma succitato propone un modello economico in realtà già sperimentato e ritornato in auge, con la risoluzione della pandemia. Anzi, mi sovviene la locuzione latina Do ut des (do a te perché tu dia a me) usata nel diritto romano che si riferisce a un tipo di contratto dove avviene una permuta. Una formula per indicare un patto che risale al terzo secolo dopo Cristo. La riflessione che mi viene spontanea, da non esperta è che torni utile recuperare ciò che funzionava anche nel passato, aggiornandone il nome, rispolverando abilità e conoscenze, per condividere il piacere di stare insieme e di donare qualcosa di sé agli altri.

Congedo di un giornalista

Non seguo molto la tivù, nel senso che non mi ritengo video dipendente. Ho i miei gusti in fatto di programmi televisivi e scelgo quelli che ritengo utili per me. Per esempio, sabato sera seguo su Rai3 quello condotto da Massimo Gramellini, garbato giornalista del Corriere della Sera. Per coincidenza, stamattina leggo sul Corriere l’articolo, a sua firma intitolato Curzio Maltese, la vita troppo breve di un fuoriclasse dedicato al collega morto prematuramente a 63 anni, milanese, allergico per i nuovi ricchi, nato in una famiglia operaia che “aveva talmente rispetto dei soldi che detestava chi li rubava come chi li ostentava”. Mi riprometto di approfondire la persona del giornalista di cui Gramellini afferma: Nessuno aveva la sua qualità di scrittura. Maltese era anche autore e conduttore televisivo. Dal mio canto, qual persona che ama scrivere, mi interessa chi fa la stessa cosa e magari provo a identificarmi. Però l’evento si presta per fare un’altra considerazione, riferita all’ambiente di lavoro dove serpeggiano non di rado ripicche e gelosie, piuttosto che apprezzamenti e solidarietà. Trovo costruttivo che un collega lodi un altro collega e ne riconosca le altrui qualità, tanto quanto riservargli delle critiche quando occorre. Certo dipende anche dal carattere della persona e dalle sue capacità relazionali. Mi viene in mente che la grande Oriana Fallaci era piuttosto spigolosa e difficile da trattare. Mi sarebbe piaciuto fare la giornalista in una redazione efficiente, con colleghi solidali. Credo che ciò sia successo a Curzio Maltese che conduceva uno stile di vita fuori dai riflettori, concedendosi buoni film – era appassionato di cinema – e qualche partita a flipper. Un capace giornalista, un uomo saggio ed interessante.

Mimosa, simbolo di forza e rinascita

Finalmente piove…in realtà sono lacrime di pioggia per la terra riarsa. Le cime circostanti sono innevate. Stamattina fa freddo, come previsto: è la coda dell’inverno. Ieri pomeriggio ho fatto una breve escursione tra viottoli e non, con l’obiettivo di verificare se era fiorita la mimosa (acacia dealbata) vista tutta verde un paio di settimane fa, in una zona periferica del paese. Addossata a un muro e in posizione soleggiata, con ai piedi un ruscello ha trovato il posto ideale per crescere e fiorire. È esplosa in una cascata di piccoli soli beneauguranti. Simbolo di forza e rinascita, l’ho fotografata e le ho dedicato una poesia, perché se lo merita. Tempo fa, a casa mia avevo messo a dimora due se non tre mimose che non hanno retto, nonostante sia considerata una pianta resistente. È originaria della Tasmania (Australia) ed è stata introdotta in Europa agli inizi del 1800. Il nome italiano pare che derivi dalla radice spagnola ‘mimar’ che significa accarezzare che si riferisce alla morbidezza della fioritura, che si collega alla sensibilità femminile. Ovviamente anche per questa pianta c’è una romantica leggenda che lascio però risolvere al lettore. Da parte mia dico che mi piacciono sia il colore – che richiama il sole – sia il profumo delicato e stuzzicante insieme. Anche i fiori sferici, insoliti per forma ed evocativi di addobbi Natalizi. Risaputo che è il fiore simbolo dell’8 marzo, legato alla Giornata della Donna, ne ho visto diversi esemplari lo scorso giovedì al mercato locale, dove mi sono provveduta di primule. Ecco, i fiori sono messaggeri della prossima stagione che temiamo siccitosa. In giardino ho scoperto la prima tenera viola. Se il clima non si dà una regolata – che in realtà riguarda i nostri comportamenti – dovrò orientarmi sulle piante grasse. Ma sarebbe un peccato e un ripiego.

Addio a Maurizio Costanzo

Vivere alla giornata: questo l’augurio che Maurizio Costanzo, mancato venerdì a 84 anni faceva a un giornalista. Istruttivo senza essere pedante, pieno di passioni, grande scopritore di talenti. Impegnato sul fronte civile e grande amico di Giovanni Falcone, particolare che me lo rende particolarmente apprezzabile. Maria Falcone, sorella del giudice assassinato dice: “Il suo impegno nella lotta alla mafia… gli costò un terribile attentato a conferma di quanto fosse prezioso il suo lavoro”. Giornalista, conduttore e autore televisivo, ha inventato alcuni dei programma più longevi della TV italiana, da Buona Domenica a Maurizio Costanzo Show. Simona Ventura, in collegamento telefonico dall’estero usa per lui l’aggettivo inclusivo che mi pare appropriato. “Carismatico” lo definisce Marcella che non perdeva una puntata del suo programma serale, anche se era tardi. Sposato quattro volte, ha avuto tre figli. Con l’ultima moglie Maria De Filippi, nel 2004 ha preso in adozione Gabriele Costanzo, allora 22enne che oggi lavora per la società di produzione Fascino. Quindi ha avuto una vita privata piena e interessante, pur non essendo un “adone” come rileva la mia amica. Anche la premier Giorgia Meloni condivide un pensiero su Twitter: Grazie per aver portato nelle case degli Italiani cultura, simpatia e gentilezza. Parecchie le testimonianze nel mondo dello spettacolo dove Costanzo aveva scoperto molti talenti. A leggerle tutte, non si finisce più. L’uomo e l’artista hanno inciso un solco profondo, perché aveva spalmato il suo talento in svariati ambiti. In ultima analisi, pur non avendolo seguito a fondo, credo fosse un uomo saggio. Chiudo con una frase di Jean Jacques Rousseau che gli calza a pennello: Quale saggezza puoi trovare che sia più grande della gentilezza?

Pro preside Annalisa Savino

Certo che la scuola è come un pentolone in ebollizione: non solo studenti demotivati, genitori pronti a criticare i professori…ma anche presidi bacchettati dal ministro dell’Istruzione e del Merito per fare il proprio dovere. E sì, perché a mio dire, la preside del Liceo Scientifico Leonardo Da Vinci di Firenze, Annalisa Savino non è andata fuori del seminato, scrivendo una lettera aperta a genitori e alunni dove sostiene che “L’indifferenza alimenta rigurgiti fascisti”. L’obiettivo è di condannare sempre la violenza, la prepotenza e anche l’indifferenza. Non a caso cita Antonio Gramsci che dichiarava: “Odio gli indifferenti”. Giorni prima, degli studenti erano stati picchiato e feriti davanti al Liceo Michelangelo di Firenze da un gruppo appartenente a un’organizzazione neofascista. Ma anche se i picchiatori fossero apolitici, il pestaggio va comunque condannato. Non so di cosa abbia paura il ministro Giuseppe Valditara che ha definito la lettera “impropria” e ha innescato la polemica. Gli studenti invece hanno colto il messaggio della dirigente e giustamente la sostengono, come anche colleghi e presidi. A mio parere la ds si meriterebbe i complimenti, anziché reprimende. Anche se l’atto è successo fuori dalla struttura scolastica, l’attività educativa – e non solo dei docenti ma della comunità tutta – non va in congedo. Tra l’altro, trovo omissivo da parte del ministro non avere condannato gli autori del pestaggio. Mi viene facile pensare che talvolta – quando non spesso – si trovano persone giuste nel posto sbagliato, e viceversa. Io mi sarei comportata come la preside, cui va la mia piena solidarietà. Nonostante ventilate minacce, mi auguro resti saldamente al suo posto, supportata da tutti gli utenti della scuola. Immagino il suo disagio e non la invidio. Non vorrei essere nei suoi panni. Ma soprattutto non vorrei essere in quelli del ministro.

Gioventù sbandata

Mentre gusto il cappuccino, sento che la titolare del bar e una cliente parlano sottovoce di un fatto che coinvolge dei giovani. Poi apro il quotidiano e realizzo ciò che è successo nei paraggi: aggressione e sequestro ai danni di un 50enne, adescato con una trappola online da tre giovani, di cui uno minorenne, gli altri due appena maggiorenni, di 18 e 19 anni. Attirato in un casolare, malmenato e rapinato, volevano il PIN del bancomat. Succede sabato scorso a Vedelago (TV). Il malcapitato è stato salvato dal provvidenziale intervento di una pattuglia dei carabinieri di passaggio. Accompagnato in ospedale a Castelfranco, ha riportato lesioni guaribili in 30 giorni, quelle fisiche perché quelle morali avranno bisogno di molto più tempo. “Ho avuto paura di morire” ha detto sconvolto si carabinieri. La giornata è lunga, ho tante faccende da sbrigare e quasi mi dimentico dell’increscioso fatto, finché lo sento riproporre alla sera durante il telegiornale di Rai 3. D’altronde è successo qua vicino, ovvio che la tivù regionale ne dia rilievo. I tre componenti della gang sono al fresco: due nella Casa Circondariale di Santa Bona, l’altro nel carcere minorile di Treviso. Sono sconcertata e disorientata. Cose anche peggiori a opera di minorenni succedono oltralpe, mi riferisco all’insegnante 52enne di spagnolo uccisa da un alunno 16enne con una coltellata al cuore. Mi colpisce la minore età degli autori dei crimini. Tornando al bar, che è un luogo dove avvengono le consumazioni, ma anche lo scambio di idee su cui poi io torno, una cliente si chiede dove siano i genitori dei minorenni che delinquono, se ci sono, se sappiano dell’agire fuorviante del figlio…e tutte le ovvie domande che un educatore serio si pone. Immagino che funzioni così anche altrove. Il punto è che la prevenzione del crimine latita, mentre le carceri straboccano di ingressi. Qualcosa non torna. Banale ricordare che fare il genitore è un compito tra i più difficili. Dubito che sarò smentita. Però anche essere figli, soprattutto coi tempi che corrono non è uno scherzo.

Fine della guerra: quando?

Mentre traffico in cucina, istintivamente accendo il televisore per avere un sottofondo che mi aiuti a sbrigare faccende domestiche per cui non sono portata. Incappo nella diretta da Varsavia con il presidente Biden che fa la sua prolusione a favore di Kiev. Registro qualche passaggio: Nessuna resa, Putin si sbagliava, Sui territori illegittimamente occupati dai russi oggi sventola la bandiera ucraina, Difenderemo la democrazia, Questa guerra non è stata una scelta, Siamo uniti e risoluti a lottare, Putin ha cercato di affamare il mondo, Fine guerra se Putin si ritira, La libertà non si difende in un anno, La libertà non ha prezzo. Sembra ispirato il Presidente degli Stati Uniti d’America, capelli bianchi e vestito nero. Ricorda che “L’articolo 5 della Nato è un obbligo sacro”. Interrompo il mio fare e presto attenzione. Sento nominare la parola Freedom/Libertà e l’augurio che Dio ci benedica. Non è divertente come sentire Fiorello alle 7.15, ma nel complesso il discorso non è male e include anche la ricostruzione. Chissà quando, chissà come ma è il quando che pesa tipo spada di Damocle, perché non si ravvisano spiragli per immaginare prossima la Pace. Anzi, sta diventando una costante la minaccia russa di usare la bomba atomica. E la Cina come si pone tra Russia, Usa ed Europa? Mi fa piacere sentire dagli opinionisti che l’Europa è più coesa di un anno fa, contro le previsioni di Putin. Suppongo ci voglia molto di più per condividere una politica d’insieme, per fare squadra. Comunque la premier Giorgia Meloni, ripresasi da un problema di salute – anche lei ne è vittima – a pochi giorni dall’anniversario dell’invasione russa in Ucraina, è a Kiev dove incontra il presidente Volodymyr Zelensky. Garantisce pieno sostegno a Kiev ed afferma: “l’Italia con voi fino alla fine”. Ecco, io spero vivamente che la fine della guerra sia vicina.

Germogli e “Ultimo Banco”

Mi piace il lunedì, perché sa di rinnovo: vado a fare provviste e sosto al bar Milady di Fonte, dove Diego indossa una ricciuta parrucca nera, per ricordare agli sprovveduti clienti par mio che siamo agli sgoccioli di carnevale. A me interessano il suo cappuccino, la croissant tiepida e il quotidiano, possibilmente Il Corriere che riesco a sottrarre da un tavolo per leggerlo in un angolo rifilato della sala che il lunedì è piena, per via del mercato locale. Ogni lunedì è ospitata la rubrica “Ultimo Banco” di Alessandro D’Avenia che oggi titola il suo pezzo Draghi e principesse. Come sempre interessante, in omaggio all’obiettivo “per vivere il quotidiano con entusiasmo” esplicitato nelle pagine interne. L’autore introduce il pezzo stimolato dalla timidezza, provata da una sua ex allieva, per dimostrare come non sia affatto un limite, quanto una corazza protettiva, come ritengo anch’io. Comunque il passaggio che mi interessa assai è dove tira in ballo i giardinieri e chiede: un germoglio è la “incapacità” o la “timidezza” dell’albero? Non è strapazzandolo che cresce e rinforza, ma curandone le radici e rispettandone i tempi. Inevitabile per me pensare alla mia ultima opera DOVE I GERMOGLI DIVENTANO FIORI che presenterò il mese prossimo nell’Auditorium Scuola Primaria – Piazza Pieve – Cavaso del Tomba (TV) dove frequentai la quinta elementare ed ebbi per maestro Enrico Cunial, cui l’ho dedicata perché lui ha compreso e valorizzato la mia attitudine a scrivere, curando le mie radici, come dice il professor D’Avenia e rispettando i tempi per la ‘fioritura’ del germoglio/alunno. Il paragone con il giardiniere è pertinente, senza contare che in greco la parola anthos significa fiore, da cui antologia (anthos=fiore; logos=raccolta… florilegium in latino) il testo che raccoglie il meglio delle parole come fossero un bouquet. Io l’ho usato alle scuole medie sia come alunna, sia come insegnante. A casa ho diverse antologie e tuttora le consulto con piacere. Insomma, grazie tante al giovane collega e scrittore che mi offre un altro spunto per presentare a breve – speriamo bene – il mio libro (reperibile anche su Amazon)

Nascita avventurosa

Lo sento durante il telegiornale della sera, confermato poi dai titoli dei giornali online: Partorisce in taxi. L’autista la assiste. Succede a Torino. Ivana Barison, tassista a Torino da 13 anni, parla dell’esperienza emozionante che le è capitata, trasportando una partoriente…che ha iniziato il travaglio in auto dove è nata la quarta figlia – le altre tre e il marito non potevano starci – di oltre tre chili. Giunte all’ospedale, il parto era praticamente finito. La piccola Aalina è nata intorno alle 12.30. Gli infermieri assistono la mamma nei minuti finali e tengono d’occhio la tassista che afferma: “Avevo le gambe molli e ho creduto di svenire da un momento all’altro”. Per fortuna è andato tutto bene. Non è la prima volta che un neonato ha fretta di venire al mondo, evento sempre altamente emozionante. Credo anzi che bisognerebbe parlarne di più, per compensare tante notizie negative. Dunque, a me è capitato sui vent’anni di assistere a un paio di parti in ospedale, al seguito di mia mamma ostetrica, a cui l’avevo chiesto. Mi ricordo l’ambiente asettico, il grembiule bianco dei sanitari, una certa concitazione…io ero periferica rispetto ai sanitari. Non è stato sconvolgente, ero preparata. Mi sono emozionata di più quando Marcella mise al mondo la primogenita Roberta, anche per il legame che c’era e c’è tra noi. Se uno lo fa di mestiere, sa mantenere i nervi a posto. Se capita inaspettatamente, come alla tassista il discorso cambia perché il carico emotivo aumenta. Sono orgogliosa che mia mamma abbia fatto nascere tanti bambini, ma io ho preferito scegliere un’altra strada, che mi ha consentito comunque di parlare del suo ruolo e di alcune sue affezionate clienti, trattate nel mio primo libro Piccole storie di donne grandi, presentato nel 2008 ed ora esaurito. Concludo, con il pensiero di Rabindranath Tagore riportato all’inizio dell’opera: Ogni bambino che nasce ci ricorda che Dio non è ancora stanco degli uomini

In difesa del Classico e dei Classici

Sul settimanale il venerdì di Repubblica, nella rubrica PER POSTA di Michele Serra leggo la lettera IN DIFESA DEL CLASSICO E DEI CLASSICI che mi interessa, per i miei trascorsi scolastici. L’ autrice della lettera, docente di latino e greco lamenta un vistoso calo delle iscrizioni al Liceo classico, legata anche alla diffidenza verso una scuola “erroneamente percepita come elitaria”. La risposta va nel verso di un conforto perché “Socrate, Orazio, Lucrezio e Seneca” hanno ancora da insegnare molto per chi si mette in ascolto. Convengo con chi scrive che la scuola non è un ufficio di collocamento, ma prima di tutto un luogo di crescita culturale e civile. La risposta del direttore è che “nel Classico c’è qualcosa che non lo rende simpatico ai razionalizzatori della produzione”. Adesso dico la mia. Oltre mezzo secolo fa mi iscrissi al Liceo classico per scelta, condivisa dei miei insegnanti delle medie, in primis della docente di Lettere, senza nessuna copertura alle spalle. Non fu una passeggiata. Sintetizza tutto, il pensiero di Aristotele: “Le radici della cultura sono amare, ma i frutti sono dolci”. Nei primi compiti in classe di italiano presi insufficiente, con grande stupore dell’insegnante che mi aveva ‘licenziato’ col nove. Le due colleghe si parlarono e risalii la china. Ma dal Ginnasio (così si chiamavano i primi due anni del quinquennio) dovetti approdare al Liceo (ultimi tre anni) prima di prendere bei voti in Italiano, quando finalmente recuperai il mio nove delle medie. Il percorso è stato impegnativo: sono uscita con la consapevolezza di avere imparato molto, culturalmente parlando, ma soprattutto di ‘essermi fatta le ossa’ come persona. Infatti il successivo percorso all’università di Padova, Facoltà di Lettere e Filosofia mi è parso una passeggiata. Pertanto sono contenta di aver frequentato il Liceo Classico G.B.Brocchi di Bassano del Grappa. Per alimentare la cultura, dopo ci ho messo del mio, perché non ho mai smesso di essere curiosa, con i Classici sempre a farmi da riferimento. Assolutamente persuasa, che non si smette mai di imparare.