Il muro d’ombra

Sono stata in ospedale a Feltre il mese scorso, per le infiltrazioni di acido ialuronico cui mi sottopongo per conservare la cartilagine residua dell’anca. È un appuntamento che si ripete da qualche anno, per evitare l’intervento cui temo alla fine dovrò ricorrere. In ospedale a Feltre è ricoverata da sei mesi Samantha, una trentenne feltrina in coma vegetativo, dopo l’intervento per la frattura del femore a seguito di una caduta. Quando si dice la jella, povera giovane, infortunatasi banalmente e irrimediabilmente ridotta allo stadio cerebrale di un bambino di pochi mesi. Cosi riporta il quotidiano che leggo stamattina. Infinita pena per lei e scoramento per il genitore che vorrebbe – e non può – staccare la spina delle macchine che la tengono in vita. Anzi, invita i giovani a prendere in considerazione il testamento biologico, per evitare, in caso di disgrazia, il tremendo peso ai familiari di esprimersi sul mantenimento in vita di un consanguineo allo stato vegetativo. Si sta ripetendo il caso di Luana Englaro. Riconosco che la materia è ostica, ma ritengo che sarebbe bene parlarne serenamente, quando il problema non sussiste, magari sui banchi di scuola, ricorrendo all’aiuto di qualche autore classico. Che piaccia o no, la vita è legata a doppio filo alla morte, tutti ci arriviamo, senza sapere come e quando, giovani inclusi, sebbene il ciclo naturale si spalmi su un arco di tempo oggi assai lungo, per chi ha la fortuna di invecchiare. Quando ero in servizio, qualche anno fa, dopo le vacanze di Natale non rientrò un alunno, deceduto per cause naturali. Un altro fu vittima di un incidente automobilistico. Sono perdite che sconvolgono e richiedono l’intervento dello psicologo. Perciò non vedrei male una educazione sentimentale per affrontare l’argomento del fine vita con leggerezza, molto prima che avvenga. Magari ricordando che la morte non ci deve spaventare, perché come asseriva Epicuro nella Lettera sulla felicità: “Quando ci siamo noi non c’è lei, e quando c’è lei noi non ci siamo più”.

I giorni non sono tutti uguali

Mezzogiorno dell’ultima domenica di maggio: suonano le campane, cinguettano gli uccelli sui tigli a bordo strada, cantano i miei canarini. La gatta controlla dalla siepe il passeggio, ancora piuttosto ridotto, forse per l’imminente ora di pranzo. C’è il sole ma non fa ancora caldo, che arriverà oramai il mese prossimo. È piovuto tanto le scorse settimane e l’erba dei fossi è alta. La natura estrinseca le contraddizioni che agitano le persone in questa fase che vorremmo ci portasse finalmente fuori della pandemia. Non è stato un bel periodo e voglio sperare che a breve ci sarà il riscatto. Può essere che tra pochi giorni il Veneto passi in zona bianca, un colore che mi inquieta… ma è una percezione mia, forse legata a un trauma infantile. In giardino i garofani bianchi di mia madre sono un bel vedere e un gradevole odorare! Un resoconto mensile mi spiattella più eventi negativi accaduti, che positivi. Mi concentro su questi ultimi che prendono in considerazione la salute, la libertà, i miei amici, gli animali, i fiori, scrivere… mi sento già meglio. Del resto poco fa ho tagliato delle rose corallo che sprigionano buonumore. I panni colorati della vicina sventolano al sole. Il mese prossimo tornerò alle terme con Adriana e Lucia: un massaggio shatsu mi toglierà di dosso la momentanea apatia e torneremo ad abbracciarci!

Amici miei

Dedico poco tempo alla radio, che accendo di prima mattina mentre mi sciacquo il viso e trascorro nel mio bagno/serra i primi minuti della giornata. Come nel resto della casa, anche in questo vano ci sono diverse piante verdi, che beneficiano del sole mattutino e dell’umidità: mi confortano con la tonalità delle foglie e la resistenza… gli manca solo la voce, che cerco in qualche stazione radio. Stamattina sento proporre agli ascoltatori questa domanda: Quanti amici avete? Mi incuriosisco e la giro a me stessa, mentre il primo intervento mi disorienta, perché risponde: molti… Buon per lui, mi dico, io non sono così ottimista, ma può darsi che dipenda da me e non me ne meriti tanti. Cerco di essere obiettiva e faccio la conta: parto da Piero, che proprio oggi compie gli anni. Intanto gli rinnovo gli auguri e spero che lui mi rinnovi l’amicizia. Giancarlo è una costante, cui mi appoggio per motivi professionali e letterari da almeno quarant’anni. Noè traduce sulla tavola i concetti che esprimo nei romanzi con una sensibilità condivisa, Francesco mi è più vicino adesso di quando eravamo compagni di liceo… come anche Michele, Anna, Paola, Gigliola, Nadia, Paolo, Luciano…Però, è una bella conta, cui vanno aggiunte le care persone che frequento più intensamente: Marcella, Lucia, Lara, Lisa e Roberta, Antonietta, Adriana 1 e Adriana 2, Serapia, Martina… non avevo realizzato che la mia rete affettiva fosse così ampia. Ne sono orgogliosa e onorata. Cari Amici, maschi e femmine, se ho esagerato fatevi avanti per aggiustare. Buona amicizia a tutti!

La Signora della Danza

La parola ETICA usata nel post di ieri, ritorna oggi in un contesto di bellezza riguardante la danza e Carla Fracci che l’ha splendidamente interpretata. La famosa ballerina è volata via a 84 anni, lasciando un’eredità di impegno, rigore, leggerezza, armonia riconosciuti in tutti i teatri del mondo. Ma non si comportava da star. Considerando la danza democratica, la proponeva anche in contesti diversi dal palcoscenico, duettando con artisti di altre discipline come Mina e le gemelle Kessler, accettando di essere oggetto di colorite caricature, come quella straordinaria fatta da Virginia Raffaele qualche anno fa. Interessante e significativa anche la gavetta fatta dalla Fracci, figlia di un conducente di tram e di un’operaia, che non si è montata la testa, neanche quando è diventata una danzatrice eccelsa. Sempre sorridente, mi ha colpito leggere in un’intervista al figlio che frequentava persone gentili ed evitava la scostumatezza: si era costruita da sola e difendeva giustamente il suo potenziale umano, fatto di poesia ed espressività. Non so se lei abbia influenzato i miei sogni di bambina… ma verso i sei anni mi ero fissata di fare la ballerina; può essere che la vista della Fracci in tutù e scarpette rosa abbia alimentato le mie fantasie infantili. Negli Anni Cinquanta le scuole di danza erano distanti e piuttosto irraggiungibili, così il sogno è presto rientrato. Ma mi è rimasto il gusto per il bello e la poesia, perciò anch’io devo qualcosa alla Signora della Danza, che rimarrà come un faro ad illuminare il mio percorso di vita.

Etica smarrita

ETICA SMARRITA titola l’articolo in prima pagina di un quotidiano. A mio modesto avviso sintetizza benissimo il dietro le quinte di quanto successo nella tragedia della funivia a Stresa. Il bollettino che sento in televisione di prima mattina notifica che il freno della struttura è stato disattivato volontariamente in “assoluto spregio delle più elementari regole di sicurezza”, per non perdere i soldi delle corse in un impianto che aveva segnalato problematicità e richiedeva interventi adeguati. Non ho parole, siamo tutti indignati e senza parole. Quattordici vittime e un bimbo sopravvissuto per miracolo sono un prezzo immane, per soddisfare la cupidigia di qualche irresponsabile. D’accordo che non saranno state pianificate a tavolino le morti accadute, ma remare contro la trasparenza e la sicurezza non porta mai bene. Che venga fatto di nascosto, rende il commercio ancora più obbrobrioso. Immagino come sarà il clima nelle famiglie delle vittime, e anche quello nelle famiglie dei tre indagati per l’accaduto… il dio denaro ottenebra le menti e semina zizzania ovunque. La magistratura farà il suo corso. Tra qualche settimana altre notizie riempiranno la cronaca nera. Chi dovrà convivere tutta la vita con le conseguenze della tragedia sarà il piccolo Eitan: che il futuro gli sia benigno!

Urge pedalare…

Dopo otto mesi di inattività, finalmente mio figlio ha ripreso a lavorare in palestra. Dopo altrettanto tempo, la mia amica Marcella riprende oggi il suo corso di ginnastica antalgica in altra palestra. Per sottolineare la circostanza, ho fatto qualcosa di dolce, i muffin con pere e cioccolato, che hanno un retrogusto amaro per via del cacao miscelato con la farina. Anche nel caso dell’attività motoria in palestra, potrebbero esserci delle sorprese negative, dovute alla cinghia ristretta della borsa e al fatto che durante la bella stagione le persone preferiscono allenarsi all’aperto. Insomma, una specie di long covid applicato al mondo del lavoro. Incrocio le dita per mio figlio e per tutti gli addetti alle strutture del settore riguardanti il benessere psico-fisico. I Latini dicevano “Mens sana in corpore sano” e uno spot salutare invita ad allenare mente e fisico, che è la stessa ricetta dei nostri predecessori. Dovrò adeguarmi anch’io, che in queste ultime settimane ho abbandonato il tapis roulant: perché pioveva sempre e mi intristiva scendere in cantina, perché mi sentivo demotivata, perché mi mancava la spinta energizzante del sole, latitante in questo maggio lacrimoso. Sospetto di essere meteoropatica, come confidato in altro post e provata da tanti mesi di confinamento sociale. Ma il mese in corso volge al termine e tra una settimana non avrò più scuse: dal garage faccio uscire la bicicletta, monto in sella e pedalo!

Coraggio, piccolo Eitan!

Di quindici persone nella cabina impazzita, unico superstite della tragedia successa in Piemonte, un bimbo di cinque anni, Eitan, salvato dall’abbraccio del padre. Il resto della sua famiglia spazzato via: il fratellino di due anni, genitori, nonni. Non doveva succedere, pare che i controlli per la manutenzione dell’impianto della funivia Stresa-Mottarone fossero regolari… ma è successo, trasformando in un gigantesco dramma il sogno di una vacanza nel cuore del Piemonte, sul pendio che sovrasta la rinomata località turistica sul lago Maggiore. Mi concentro sul piccolo Eitan, immaginando come potrà essere il suo futuro, privato degli affetti più cari. E mi soccorre l’immagine del padre, nel tentativo di proteggere il figlio. Forse un gesto istintivo, ma pieno di significati positivi in un periodo altrimenti costellato anche da fragilità genitoriali che la pandemia ha scoperto. Non basta mettere al mondo un figlio per essere un bravo genitore. E non mi risulta ci sia una scuola che rilascia attestati che lo garantiscano. Ok le tavole rotonde, gli specialisti, qualche trasmissione dedicata, ma poi ognuno agisce in base all’educazione appresa e al figlio che si ritrova, spesso diverso dalle aspettative. Quando si parla di nascite, si usa l’espressione “messo al mondo” e non “in famiglia”, come ha argutamente rilevato un acuto sacerdote che non conosco, per sostenere l’importanza della comunità nell’accogliere i nuovi nati. Perciò il piccolo Eitan, pur privato dei consanguinei, non rimarrà solo, ne sono certa. Mi unisco anch’io alle centinaia di persone che gli inviano una preghiera e una carezza.

Riflessioni sul compleanno

Oggi compie gli anni Luisa, la mia vicina di casa ospite di un pensionato a una decina di chilometri. Trattandosi di una signora, mantengo il riserbo sull’età: gli anni non sono pochi, ma portati elegantemente e nel complesso in buona salute. Intanto cari auguri, che speravo di farle personalmente… ma le ferree leggi anti covid consentono l’accesso in struttura dopo il completamento del ciclo vaccinale, che nel mio caso avverrà a fine luglio. La mia simpatia nei confronti di Luisa non viene meno, mentre cresce il disagio di dover sopportare ancora limitazioni, nonostante il vaccino astrazeneca che mi è stato inoculato il 4 maggio protegga dopo i primi dieci giorni. A malincuore, devo farmene una ragione. Certo mi sentivo più utile alla mia vicina, quando andavo a farle la spesa e lei ricambiava con un corroborante caffè. La sua scelta di essere seguita in un posto con personale specializzato anche per le emergenze è del tutto ragionevole, al netto di una perdita di libertà personale. La sua condizione mi fa pensare a cosa mi potrà succedere domani. In pensione da qualche anno, mi considero una “giovane anziana”, abbinamento verbale chiamato ossimoro in grammatica, perché associa due parole di significato contrastante, in questo caso giovinezza e anzianità. Ed è proprio il mix emozionale che ne esce, a produrre sentimenti contrastanti: da una parte la preoccupazione per un futuro che intravedo all’orizzonte, e dall’altra il desiderio di spendere energie ancora presenti. Il tutto permeato dalla consapevolezza che siamo fili d’erba, come asseriva il filoso Blaise Pascal (1623 – 1662), autore dei Pensieri, da cui estrapolo questo: “… che cos’è l’uomo nella natura? Un nulla in confronto all’infinito, un tutto in confronto al nulla, un qualcosa di mezzo fra nulla e tutto”. Auguri Luisa e buona vita finché ci siamo.

Coraggio e memoria

Sono passati quasi trent’anni (29) da quando Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, gli uomini e le donne delle loro scorte persero la vita. La commemorazione, promossa dal Ministero dell’Istruzione si ripete ogni anno dal 2002 e coinvolge migliaia di studenti che raggiungono Palermo a bordo della “Nave della Legalità”. La frase di Antonino Caponnetto “La mafia teme la scuola più della giustizia”, si sta rivelando vera e foriera di energie positive. Data la circostanza, anziché parlare dell’infausto evento dell’attentato, ricostruito anche dal cinema, mi interrogo su cosa sia il coraggio, che le vittime delle mafie hanno messo in campo sopra ogni cosa. Potrebbe sembrare parola desueta il coraggio oggi, perciò cerco spunti dal pensiero stesso di Falcone, che diceva: “L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza”, oppure: “Chi tace e piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e cammina a testa alta muore una volta sola”, che mi richiama quest’altra: “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”. Non finirei più di attingere al pensiero di quest’uomo straordinario, dalla voce calda e carezzevole. I suoi pensieri sono per me una miniera di benessere e di ottimismo sul genere umano, che sopravanza la ferita inferta alla sua persona, con il dolente carico dei colleghi e amici con lui sacrificati. Da molti anni tengo in camera il poster dei due amici giudici Falcone e Borsellino, che sono diventati una sorta di faro illuminante le mie giornate grigie. Quando mi coglie lo smarrimento o la sfiducia nelle istituzioni, osservo la foto che li ritrae complici e bendisposti, invidiando la loro amicizia e rendendo grazie al loro servizio, alimentato dal sangue di tante altre vittime. E mi dico che il loro pensiero deve camminare anche sulle mie gambe.

Rita da Cascia… e mamma Giovanna

Il vero nome della santa è Margherita Lotti, figlia di Antonio Lotti e Amata Ferri. Nata nel 1371 (o 1381) muore il 22 maggio del 1447 (o 1457). Il processo di beatificazione inizia tardi, nel 1626, sotto il pontificato di Urbano VIII mentre Leone XIII la proclama santa nel maggio 1900. Un processo canonico lungo, ma Rita era venerata da subito dopo la morte. Moglie, madre di due figli maschi prematuramente scomparsi, vedova, monaca agostiniana protettrice delle calamità naturali, è ritenuta la Santa degli Impossibili. Anche mia madre era nata il 22 maggio e credo fosse legata a Rita da Cascia per questa coincidenza natale, oltre che per il fatto di essere stata sposata (il marito Paolo di Ferdinando di Mancino viene assassinato nel 1406). Un paio d’anni fa ho visto una rappresentazione teatrale dedicata alla figura di questa donna, toccata in vita dalla disgrazia e dalla grazia. Da laica, mi sono fatta l’idea che fosse una donna controcorrente, in grado di rivestire diversi ruoli… in definitiva una combattente, come era un po’ mia madre, che era religiosa a modo suo. Giovanna, mia madre, non aveva tempo di andare a messa tutte le domeniche, anche perché, in qualità di ostetrica, alias levatrice capitava che corresse da una partoriente per assistere all’evento straordinario della nascita, che non ha orari, com’è noto. Però da anziana, di sera prima di coricarsi, le vedevo fare il segno della croce che interpretavo come gesto di riconciliazione. Le dedico un bouquet casalingo, perché amava i fiori, hobby che mi ha trasmesso. La sua forte personalità sta lavorando dentro di me, che oggi invoco santa Rita perché le conceda un sereno e meritato eterno riposo.