Oggi ultima domenica di ottobre. Siccome domani ricorre la festività dei Santi, mi pare un giorno prefestivo, con molta gente che visita il camposanto e si dedica alla sistemazione delle tombe. Io sono distratta dal mio prossimo intervento e cerco di sistemare cane gatto uccellini – i miei conviventi – affinché non abbiano a risentire della mia assenza, che mi auguro brevissima, non oltre i tre giorni. Quando rientro a casa, sono le 12 dell’ora solare ritornata stanotte ma il mio stomaco, ignaro del cambio segnala un certo appetito. Pertanto metto in microonde la crespella ai funghi porcini appena acquistata e accendo la televisione: papa Bergoglio recita l’Ave Maria in latino e poi impartisce la benedizione, che prendo anch’io prima di sedermi a tavola. Sentire recitare la popolarissima preghiera in latino mi procura una certa emozione, perché mi riporta al Corso di Latino che tenni molti anni fa, come integrazione scolastica agli studenti – in realtà quasi tutte ragazze – che frequentavano allora la seconda o terza media. Parlo di circa vent’anni fa. Ricordo che stampai io stessa l’attestato di frequenza e che mi servii della bellissima orazione, per seminare qualche nozione di lingua latina. Pare che la preghiera sia partita addirittura dall’Egitto, diffondendosi sia nella chiesa cristiana orientale sia in quella occidentale. La prima formulazione completa si trova nel libro di preghiere del beato Antonio da Stroncone (1368 – 1461), francescano umbro. Mi piace sottolineare che la lode iniziale “Ave” non è un semplice saluto, ma è un invito a gioire pari a “Rallegrati”. Anche il nome Maria è interessante perché ha due radici diverse: una egizia “Myr” che vuol dire amata e una ebraica “yam”, abbreviazione di Iahvè, che significa l’amata di Iahvè, la prediletta di Dio. Il resto del significato della preghiera lo lascio ai singoli lettori. In ogni caso sono lieta di essermi occupata di questo testo a poche ore dalla solennità di Ognissanti, per fugare i disturbi e le ombre dell’incombente Halloween!
Mese: ottobre 2021
Giornata del risparmio
Il 30 ottobre 1924 fu istituita la giornata mondiale del risparmio, che pertanto ricorre oggi, almeno nel calendario degli eventi da riproporre, “appuntamento storico ma poco conosciuto”. Questa notizia mi porta a quando avevo circa nove anni e ricevetti in dono un salvadanaio tramite la scuola elementare frequentata, dove recitai una poesia e mi fu scattata una foto ricordo. Il salvadanaio era molto pesante, grigio, con lucchetto annesso. Io avevo la coda di cavallo e le gonne corte. Ho ben presente la foto in bianco e nero di me scolaretta, ma non so che fine abbia fatto il salvadanaio, usato assai poco. Piacevole ricordare l’episodio, imbarazzante argomentare sul risparmio. Pare che noi Italiani siamo dei bravi risparmiatori, ma di questi tempi sembra più opportuno parlare di capacità di “tirare la cinghia” nella migliore delle ipotesi. Leggo anzi che sono aumentati i furti e molte famiglie sono in sofferenza. Non mi considero una sprecona, sono piuttosto attratta dal vintage, perciò riciclo soprattutto indumenti, anche perché ho mantenuto all’incirca lo stesso peso di vent’anni fa, ed anzi ho perso qualche chilo. La pandemia ha azzerato e poi ridotto le occasioni d’incontro, per cui ho delle calzature nuove di zecca da inaugurare, sperando in una risoluzione del problema sanitario. Mi sono ritrovata poche volte al ristorante con un’amica, ma più di frequente consumo la pizza da asporto. Più che necessità, si tratta di nuovo comportamento, favorito dalle circostanze. Se è vero che siamo adattabili, oltre che risparmiatori, forse ne uscirà qualcosa di buono. Lo spero vivamente.
Famiglia maxi
Mattinata densa di commissioni, lunedì non potrò fare la consueta spesa perché dovrò fare il tampone a Bassano, alla vigilia del ricovero. Vorrei lasciare una casa decente, per non aggravare mio figlio. A proposito di parentele, leggo un articolo sul quotidiano che mi sorprende: primo perché il fatto di cui si parla è successo a Gaiarine, mio paese natale dove mamma faceva l’ostetrica interinale, secondo perché l’argomento riguarda una plurifamiglia, dove è nata Anita, la decima figlia di Stela e Cornelius: non avranno problemi di assistenza da anziani…ma sospetto ne abbiano parecchi ora a gestire una nidiata che abbraccia età spalmate tra i 14 e 2 anni. Sono sorpresa, penso al peso fisico e psicologico che deve gravare sulla madre e alla confusione che regnerà in casa. Può darsi che mi sbagli, tanto che l’eccezionale famiglia è oggetto di attenzione sociale ed è destinataria di generosi aiuti esterni. Mi auguro che i figli non siano stati messi al mondo con queste intenzioni. Nel secolo scorso e ora in alcune parti del mondo i figli sono considerati il bastone della vecchiaia…cosa inconcepibile da noi oggi, quando molti trentenni sono ancora disoccupati, vivono con i genitori e non possono mettere su famiglia. Mio figlio ha 33 anni ed è appena uscito di casa, traguardo d’indipendenza che io realizzai sei anni prima di lui. Nessuna polemica, solo constatazione di come cambiano le cose nel giro di qualche decennio e quanto in evoluzione sia la famiglia, eccezion fatta per chi sceglie di realizzarla in formato maxi. In ogni caso, buona vita sia ai genitori che ai figli.
Proposta culturale a Cavaso del Tomba
L’incontro con l’autore (la sottoscritta) è passato, non affollatissimo ma di qualità. Non lo dico io, ma il sindaco di Cavaso Gino Rugolo che non lesina complimenti e si rammarica per chi non c’è. Visto che sono parte in causa, raccolgo ciò che il pubblico in sala mi offre: attenzione, ascolto, partecipazione che sono il collante tra chi produce arte e chi la riceve. Il breve romanzo Il Faro e La Luce consente una circolarità di emozioni che toccano la poesia, la pittura, la narrativa, la recitazione. Il mio relatore, collega e amico Giancarlo Cunial valorizza la luce della conoscenza, che richiede impegno e prende forma da una primigenia impronta scura, bene rappresentata dall’amico pittore e poeta Noè Zardo nella figura femminile allungata sulla scogliera, tra il faro e la stella marina. Simbologia efficace, che tocca le corde giuste. A proposito di corde, assolutamente da premiare quelle vocali dell’ammirevole lettrice Lisa Frison che col timbro giusto comunica emozioni oltre il significato delle parole. La mia amica Lucia Zanchetta rende giusto omaggio a chi fa volontariato, compresa l’associazione Anteas promotrice della serata, col patrocinio dei Comuni di Possagno e di Cavaso del Tomba. Un intervento del sindaco sottolinea l’importanza che un insegnante lasci un segno, una traccia che va oltre la competenza e il ruolo rivestito: ciò che mi ha regalato il mio compianto professore di Liceo, Armando Contro, cui dedico l’opera. Infine, ma non ultima la soddisfazione di vedere tra il pubblico le colleghe Valentina, Adriana 1 e 2, Roberto, Renato, Daniele, Danila, Josephina, Alda, Marcella, Bruno, Michele (che ha un cognome invidiabile)… Novella che arriva in chiusura ma sempre gradita e Vilma che mi ha proposto di scrivere sul padre Enrico Cunial, mio maestro di quinta elementare, cui destino il prossimo impegno letterario che ho in lavorazione. Peccato siano mancate altre persone attese, che si dovranno accontentare di questo resoconto. In chiusura: foto di rito tra il sindaco Gino Rugolo che mi abbraccia cordialmente (non è da tutti) e il mio relatore preferito Giancarlo Cunial, sullo sfondo della bellissima opera Il Faro e la Luce dell’amico artista Noè Zardo, riprodotta in copertina. Alla prossima!
Suoni discordanti
Mentre apro il portoncino stamattina, verso le sette e trenta, vengo colta da due suoni differenti: quello allegro delle campane e quello secco del fucile, una combinazione disarmonica che mi solleva e mi inquieta nello stesso tempo. Premetto che mio padre era cacciatore, ma non ha forzato la mia indole data la mia natura femminile. Se fossi nata maschio, temo che avrei dovuto combattere parecchio, per dissociarmi da eventuali tentativi di indottrinamento. È chiaro che sono contro la caccia, che ritengo “sport” assolutamente non indispensabile per la sopravvivenza, viceversa dal suo esordio. Le campane sono attraenti perché le collego a qualcosa di buono e familiare, avendo vissuto da bambina in piazza Pieve a Cavaso del Tomba dove la chiesa parrocchiale è ancora centrale. Può essere che si sia sedimentato nella mia memoria il ricordo dello scampanio in coincidenza delle messe mattutine o festive. Si tratta di un piacere uditivo che mi distende ancora, sebbene non sia una praticante. La campana di per sé è un manufatto…che ha fatto la storia dei popoli passati, oggi superata dalla tecnologia, e bisogna adattarsi. Però è rimasto il simbolo, che ritorna ad esempio in occasione della Pasqua, nella versione delle campane di cioccolato, oppure a Natale in quelle luminose appese sull’albero. Tutta un’altra storia per i fucili, purtroppo presenti e invadenti in certa cronaca nera nazionale e mondiale, specie in America dove vige il grilletto facile. Con buona pace del cacciatore “naturalista” che non intente fare violenza…salvo ai pennuti di passaggio.
Amore e nobiltà
In una giornata partita maluccio, una notizia mi tira su di morale: la principessa Mako si sposa a Tokio e diventa una borghese. Lei è figlia del principio ereditario Akishino e nipote dell’imperatore Naruhito; lui, Komuro, ex compagno di università. Mako perderà il titolo nobiliare ed eventuali suoi figli maschi saranno esclusi dalla linea di successione al trono. Ha pure rifiutato un cospicuo indennizzo. Esile, occhi a mandorla, carnagione di porcellana, vestita di azzurro perla, la ragazza mi sta proprio simpatica, perché immagino abbia un carattere tosto. D’altronde, con tante brutture e limitazioni che ci sono nel mondo, perché impedire la realizzazione di un sogno d’amore? Fidanzata dal 2017, la 29enne principessa ha dovuto rinviare il matrimonio per difficoltà finanziarie della famiglia di lui, non nobile, con cui si trasferirà negli Stati Uniti. A parte la mia simpatia per il Paese del Sol Levante, la scelta di Mako ha tutti gli ingredienti per imbastire un bel romanzo, il cui finale però lascerei aperto, perché il cambiamento di status e d’ambiente è solo all’inizio, sebbene auguri lunga vita agli sposi. Non è la prima volta che i figli rinunciano al patrimonio dei genitori, lo aveva fatto pure San Francesco, anche se per un amore di servizio verso i poveri e le creature. Diciamo che apprezzo il coraggio di chi sa uscire dal coro e mi fa tenerezza chi lo fa per amore. Siamo nel terzo millennio e la tecnologia ci ha invaso, la pandemia ci ha ridotto…una sferzata di energia può rimetterci in carreggiata per recuperare ciò che veramente vale.
Post per un anno
Il lunedì è proprio un giorno energetico, che dedico alla spesa e al disbrigo delle utenze, dopo essermi fermata al bar per leggere il quotidiano, possibilmente il Corriere oppure il Gazzettino, la tribuna o Libero. Essendo a Fonte giorno di mercato, c’è sempre un via vai per strada e pure al bar, che una volta si chiamava Armonia, una parola a me molto cara. Diego, il cameriere mi conosce e sa già cosa ordino, perciò mi rifugio in un angolo libero dove mi porta la consumazione. Come vicino ho un bimbo di 16 mesi (lo confida la mamma a una persona) che mi guarda interessato, forse attratto dagli occhiali. La mamma parla molto al cellulare, lui si spazientisce e si mette a piangere: ovvio! Pensare che io non portavo il mio in pubblico, per timore si beccasse qualcosa, anche riguardo a troppe smancerie che gli adulti distribuiscono lautamente. Tornando alla mia tabella di marcia, oggi ci aggiungo una tappa: la tipografia kappadue a Loria dove vado a prelevare la mia ultima creatura, una sorta di almanacco intitolato POST PER UN ANNO, dove sono raccolti i miei primi 365 post, con in copertina la foto del sole che sorge, che percepisco beneaugurante. Anche se non è la prima volta (credo l’undicesima), ammetto che è sempre emozionante vedere realizzato un proprio lavoro, che si presenta piuttosto bene. È l’opera più corposa finora scritta, che spero mi darà soddisfazione perché è il prolungamento del blog e l’ho realizzata grazie al supporto di Manuel, spaziando tra vari argomenti, attualità compresa. Approfitto per dire che potrebbe essere un dono interessante da fare per la fine dell’anno, rivisitando i dodici tosti mesi a cavallo della pandemia. Senza angosciarsi, perché ormai ne siamo quasi fuori.
Pane e companatico
Sono stata a pranzo con Pia, in una trattoria della zona, un convivio beneaugurante in vista del mio prossimo intervento: la prossima volta che condivideremo un piatto, sarò una donna “bionica” con artoprotesi. Ringrazio la mia amica e mi vengono spontanee delle riflessioni sul piacere di mangiare insieme. A maggior ragione se non si può condividere quotidianamente il pasto con un familiare, perché non c’è più, oppure se n’è andato. Se non ricordo male, Sant’Agostino diceva che mangiare bene avvicina a Dio. Di certo sua la frase: “Ama e fa’ ciò che vuoi”. Come dichiarato in altre occasioni, a me non piace stare ai fornelli ma riconosco il grande merito di chi ci opera e apprezzo il buon cibo, genuino e poco lavorato. Ad esempio oggi ho gustato i garganelli con finferli e speck croccante, serviti in un gran piatto, decorato con un ciuffo di prezzemolo fresco. Una proposta stuzzicante e appetitosa. Però l’aspetto più godereccio, se così posso esprimermi, è stato il contorno di buonumore e confidenze che sono intercorse tra me e la mia commensale, che è anche una grande amante della natura, in questa domenica soleggiata veramente spettacolare. Valeva la pena abbandonare presto il tavolo, per uscire all’aperto e gustare il foliage delle chiome arrossate delle piante e il tappeto giallo sotto gli alberi. In tema col rosso è la pianta di peperoncino che ho comperato come beneaugurante, in quanto i frutti mi sembrano tanti cornetti. La Pedemontana del Grappa in questo periodo offre paesaggi di rilassante bellezza. Se ne sono accorti anche i miei canarini che hanno ripreso a cantare. La stagione di passaggio dona oggi grande piacere agli occhi che è anche un buon nutrimento per l’animo. Come dire che oggi abbiamo gustato il pane…e il companatico.
Selvatici e salvifici. Gli animali di Mario Rigoni Stern
Inaugurata ieri 22 ottobre a Palazzo delle Albere in Trento la mostra “Selvatici e salvifici. Gli animali di Mario Rigoni Stern” fino al 27 febbraio prossimo. Lo scopro curiosando tra le ultime notizie del nordest e vorrei visitarla, in omaggio al grande scrittore e per l’amore verso gli animali. Quando insegnavo, alcuni passi de “Il sergente nella neve” sulla Campagna di Russia, erano lettura obbligata per gli studenti di terza media, per l’argomento collegato alla storia, e per la scrittura fluida dell’autore. Bello che quindici artisti si siano espressi tramite dipinti, fotografie, sculture, incisioni, installazioni per rendere omaggio allo scrittore dell’Altopiano, nel centenario della nascita (Asiago, 1/11/1921 – 16.06.2008). Nel video si osservano una civetta in legno, uno stambecco, un urogallo…e chissà quante altre interessanti creature del bosco, oggetto di attenzione dello scrittore. Trovo molto azzeccato anche il titolo della mostra, che nell’abbinamento dei due aggettivi “selvatici” e “salvifici” sostiene un progetto di inclusione che condivido, rafforzato dal pensiero che “Dietro ogni parola ogni animale ci sta il mondo”. Aggiungo di mio che non saprei stare senza la compagnia di cane gatto uccellini. A suo tempo ebbi criceti e piccole tartarughe. Invidio chi può allevare un cavallo o un asino. Il parco-zoo di Lignano Sabbiadoro è stato più volte visitato con mio figlio bambino. Credo nella pet terapy da prima di conoscerne i benefici effetti. Non so cosa gli animali pensino di me ma io di loro posso dire un gran bene. Perciò ben venga tutto ciò che si muove attorno a loro.
La vita non si ripete
Mi chiedo come la realtà superi la fantasia nell’ambito della finzione cinematografica. Non mi riferisco alla trama di un film violento, ma a quanto successo sul set del film western Rust, in New Mexico dove l’attore e produttore del film Alec Baldwin – cui presumo competa come produttore controllare ogni singolo passaggio dell’azione – durante una ripresa, con una pistola di scena che doveva essera a salve, ha ucciso la direttrice della fotografia, Halyna Hutchins, 42enne e ferito gravemente il regista, Joel Souza, 48 anni. Quindi si tratta di vittime sul lavoro, in un settore dove si costruisce un prodotto per distrarre, divertire, talvolta istruire, tanto che il cinema è considerato la settimana arte. Massima pena per la vittima, giovane, bella e con tutta la vita davanti e costernazione per quanto accaduto. Ovvio che la società di produzione si dichiari “devastata”. Senza lanciare strali, vorrei soffermarmi sulla parola “attenzione” che non va mai allentata, in ogni ambito, di più dove si è accumulata esperienza. Da tempo mi sono accorta che in auto non posso distrarmi neanche un secondo per girare la manopola del volume della radio… perché una volta ho sfiorato il ciglio della strada. Vale anche in cucina, dove dimenticare una pentolino sul gas può costare caro, oppure in bagno maneggiando incautamente utensili a corrente vicino all’acqua. Il pericolo è sempre dietro l’angolo. So di un padre che dava lezioni di guida al figlio ed è incappato in una pesante sanzione per aver contravvenuto al rispetto di una norma stradale. Credo succeda spesso di essere “miracolati” nonostante le nostre defaiance, ma le mancanze/disattenzioni/ignoranze colpevoli che costano la vita agli altri sono fuori discussione, ancora di più se si verificano in ambito professionale. E qua mi fermo, altrimenti il discorso potrebbe diventare pesante. Nessuna invettiva contro lo sfortunato autore del gesto, ma severo richiamo sulla responsabilità che compete ad ognuno, qualunque ruolo ricopra . Perché la vita non si ripete.