Sono stata a pranzo da due sorelle, mie amiche. Lisa, la minore ha compiuto gli anni di recente: una cifra tonda. Roberta, la sorella più grande si è data da fare perché il compleanno si trasformasse in una grande festa: con amici, parenti, addobbi, fiori… e poesia. Sono stata contattata, in incognito, per scriverne una per l’occorrenza. Ci ho pensato su e l’ho intitolata Ritratto, specchio della persona gentile e sensibile che ho fortunatamente conosciuto anni fa. Interessante il percorso tortuoso affrontato dalla sorella per contattarmi, attraverso la mediazione di una cugina per mantenere la sorpresa fino al giorno fatidico. L’effetto è stato talmente grandioso… che Lisa ha innaffiato di calde lacrime tutta la giornata del compleanno. Roberta ha imparato a memoria la mia poesia che la solerte cugina ha recitato durante il banchetto. Onorata di aver contribuito alla festa, ricevo in omaggio una plendida ortensia, notevole per capolini ed eleganza. La giornata mi offre lo spunto per valorizzare la ‘sorellanza’, la solidarietà tra sorelle che non è scontata. Infatti ho percepito tra le due mie amiche un legame profondo, che parte da lontano, frutto dell’ educazione attenta dei genitori, entrambi mancati ma sempre presenti. La mamma Bruna che ho avuto il piacere di conoscere era anche un’ottima cuoca. Ecco che Roberta ha rispolverato le sue ricette e si è impadronita dei fornelli; d’altro canto Lisa ha ereditato il pollice verde della mamma, cosicché la casa compete con la fioreria per abbondanza di piante verdi e fiorite. Una storia di eredità affettiva passata dai genitori ai figli. Un dettaglio cromatico mi illumina: quando entro in soggiorno, noto la tavola apparecchiata con piatti celesti: immagino che il celeste sia il colore preferito della festeggiata che invece mi sorprende, dicendo che l’ha scelto perché è il colore del cielo e rappresenta un modo per connettersi coi suoi cari. Lo trovo un gesto di grande delicatezza, un dettaglio che fa la perfezione. I dettagli fanno la perfezione e la perfezione non è un dettaglio. Parola di Leonardo.
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Arte e Fiori a Cavaso in fiore
Oggi Cavaso in fiore, manifestazione che riprende con vigore, in una bella giornata di sole. Non mi servono fiori, ricevuti in abbondanza al mio recente compleanno, ma mi attrae la bellezza che gira attorno a questo dono del creato e so che troverò ciò che cerco. Prima delle dieci sono sul posto, accompagnata dalle note della banda musicale. Scendo da un vialetto antistante la casa di riposo e mi trovo sulla piazzola dedicata al maestro di musica Benedettini che mi diresse da bambina in una performance di danza. Nell’anfiteatro sono esposti i quadri di tre persone che conosco: Noè Zardo, Renato Zanini e Daniele Signor. Posizionato nei pressi il banco con le piccole e deliziose statue di Renato, in aggiunta ai dipinti, in bella compagnia con quelle dello scultore Gilberto Fossen e del collega Francesco Orlando che è pure pittore e soffiatore del vetro. La prima cosa che mi colpisce è la parata di piccoli quadri di fiori dell’amico Noè che per questa edizione si è cimentato nella pittura ad olio, con esiti a mio dire brillanti. Daniele custodisce in una valigia un piccolo tesoro: delle stampe accurate di alcune sue opere, per chi volesse acquistarne una versione più a portata di mano. Noto che ogni artista è in divenire, aperto a sperimentare varie forme artistiche e questa è la magia dell’arte che si rinnova e spazia in vari ambiti. Scatto un paio di foto e mi trattengo a parlare piacevolmente con loro, cui provo a offrire la mia penna, senza secondi fini: perché amo il bello che ogni artista cerca ed esprime. Poco male se non ci sarà una folla oceanica a visitare e omaggiare i prodotti del loro ingegno: sul terreno buono, la semina darà i suoi frutti, e i germogli diventeranno fiori (Dove i Germogli diventano Fiori, di Ada Cusin è su Amazon). È anche la filosofia di Elisa Barbone, la pittrice donna che espone, a un passo dai colleghi con cui scambio due parole, mentre ammiro i suoi paesaggi d’acqua incastonati da cornici in tinta. Adesso mi resta da visitare il resto degli espositori, per tutti i gusti e i palati, perché oggi è la festa dei sensi. Per quanto mi riguarda, ho attinto alla forma espressiva più vicina a quella mia letteraria. Ho visto amici e apprezzato le loro opere. Visitatori fatevi avanti!
Enea, piccolo eroe moderno
Partorire in anonimato: è una possibilità concessa la alle donne che intendono rinunciare al bambino che mettono al mondo. Come abbandonarlo in anonimato. È successo ieri, giorno di Pasqua a Milano. Enea: il nome del piccino di una settimana, abbandonato nella ‘Culla della Vita’ del Policlinico Mangiagalli di Milano (in Italia ce ne sono cinquanta). In una lettera lasciata nella culla accanto al bimbo, la mamma informa sul nome e dà altre indicazioni. Prima che parta l’iter per l’adozione, ha dieci giorni per ripensarci e farsi viva, lo ricorda il primario dell’ospedale. Molti si augurano che succeda, me compresa. Posso lontanamente immaginare le difficoltà di questa donna che si è tenuta per una settimana la sua creatura, prima di decidere di rinunciarci. Sono sicura che il piccolo Enea – nome di reminiscenze liceali – avrà una schiera di potenziali genitori, disposti a prendersene cura. Ma lei come vivrà, sapendo di aver rinunciato al figlio? La immagino giovane, oppure madre già oberata di altri figli, in condizioni economiche precarie…eppure dotata di grande determinazione per aver preso una decisione tanto traumatica per lei, più che per il figlio che potrebbe anche essere ‘fortunato’, se sarà bene accolto da una famiglia adottante. Lungi da me fare retorica su un argomento tanto delicato. Dalla mia esperienza di madre un po’ fuori dalle righe (single con figlio), mi sento di dire che mettere al mondo un figlio voluto è un’esperienza totalizzante che non si cede ad altri, se non per gravissimi motivi. Suppongo che la mamma di Enea abbia agito di conseguenza. Un dettaglio: il nome che gli ha dato mi fa pensare a una donna istruita o comunque a una scelta non casuale. Enea è l’eroe troiano di cui parla Virgilio nel poema Eneide, costretto a peregrinazioni prima di giungere a fondare una nuova terra. Un nome premonitore? Comunque un bel nome, denso di significato e di promesse. Tanti auguri, piccolo eroe!
Il Bacanal del Gnoco
Il Bacanal del Gnoco è il Carnevale di Verona di cui sento parlare per televisione. Pare il carnevale più antico d’Europa e affonda le sue radici nel tardo medioevo, quando il medico Tomaso Vico lasciò nel testamento l’obbligo di distribuire ogni anno alla popolazione di San Zeno viveri ed alimenti: pane, burro, formaggio e farina per preparare gli gnocchi nel giorno del venerdì grasso, l’ultimo venerdì prima della Quaresima, chiamato Venerdì Gnocolar. Nel 1531 vi fu una grave carestia che provocò l’aumento del prezzo della farina e conseguenti disordini, superati con la nomina di una commissione di cittadini facoltosi – tra cui il medico Tomaso Vico – che provvide all’acquisto e alla distribuzione di grano e farina. Una bella storia che unisce folclore a tradizione. Ogni anno la sfilata si apre con la maschera che rappresenta il quartiere di San Zeno (dove si trova l’omonima Basilica), il Papà del Gnoco, seguito da altre maschere come il Duca de la Pignata e il Duca de la Pearà, insieme con i carri allegorici. Ecco, io non sono attratta dalle feste in maschera, però trovo interessanti quelle che fanno riemergere belle storie, come quella che mi ha offerto l’argomento del post odierno. Tra l’altro, dato che mangiare bisogna, condirlo con un po’ di storia lo rende ancora più saporito. Gli gnocchi sono un primo piatto fantastico, specie se fatti in casa. Anni fa, ho avuto il piacere di vedere Gentile, una vicina all’opera – mamma di Marcella – a cui ho fatto anche un breve video. Con l’entusiasmo di una scolaretta, partecipai a una lezione culinaria d’alto livello e appresi anche il nome di parole dialettali che ignoravo, tipo panara, tavola di legno dove si impasta il composto di acqua e farina. Gentile mi offriva anche un ottimo caffè in una tazzina bianca e blu, non di rado accompagnato da una fetta di torta di mele (specialità questa del marito Carlo). Ecco, grazie al Bacanal del Gnoco ho recuperato un momento piacevole del passato, il che per me corrisponde a una festa.
San Sebastiano e i proverbi
Oggi San Sebastiano, un nome che non circolava molto nei registri scolastici. A mente conosco due persone con questo bel nome, portato dal santo, un soldato romano nato a Narbona (Francia) nel 255 d.C. Educato a Milano, apparteneva all’armata dell’imperatore Diocleziano che lo aveva in grande stima e lo fece capitano dei pretoriani. Subì il martirio a Roma per aver sostenuto la fede cristiana, il 20 gennaio 288. È considerato protettore della polizia locale, dei vigili urbani, dei sofferenti, dei tappezzieri e di quanti abbiano a che fare con gli aghi…in riferimento alla modalità della sua morte, avvenuta tramite le frecce scagliate dagli arcieri che lui stesso aveva guidato. Pare che sia il santo più rappresentato in arte. Ne raccontano la storia i dipinti su di lui del Mantegna, di Botticelli, di Raffaello… di Antonello da Messina che mi sembra il più ‘moderno’: un olio su tavola del 1478/79, ambientato in un angolo della città di Venezia. Anche i proverbi omaggiano San Sebastiano. Ne riporto alcuni. Per San Sebastiano la neve cade piano piano, oppure Per San Sebastiano un’ora in più abbiamo, A San Sebastiano l’estate è ancor lontano, San Sebastiano con la violetta in mano… saggezza in pillole. A proposito di neve, ieri c’è stata una spruzzata anche a bassa quota, oggi invece è protagonista il sole e le cime non sono più innevate. L’inverno si è appena presentato e l’estate è di là da venire. Vero che l’oscurità scende più tardi…quanto alle viole riconosco le foglie ma per i profumati fiori viola la strada è ancora lunga. Comunque sui fianchi soleggiati dei torrenti o lungo i viottoli interni di campagna, sotto una coltre di foglie secche si stanno preparando ad emergere le primule, ‘cugine’ delle viole. Dopo il sonno invernale, la natura si risveglia. Questo intende significare il proverbio che unisce il santo alle viole. Esteso anche alla rinascita spirituale, per chi intrave una simbologia più profonda.
Tempo di attesa e di bilanci
Primo dicembre, ultimo mese dell’anno. Mi alzo prima del solito, fuori è ancora buio. Apro solo mezzo balcone, in attesa del giorno. Il tema dell’attesa è proprio del periodo ormai in atmosfera natalizia. Strappo la pagina del calendario e posiziono il fermaglio sul numero uno di dicembre, operazione che ripeterò per gli altri tre/quattro calendari che tengo in quantità perché su ognuno annoto cose diverse: spese, scadenze, bollette, appuntamenti, compleanni (la voce che preferisco). Quando ero in servizio, segnavo le riunioni che sovente riempivano da sole l’almanacco, disponibile ora per incontri meno gravosi. È il periodo della raccolta, sia per quanto riguarda la stagione che sta per chiudere i battenti, sia per il periodo della pensione, prima sospirato ed ora investito con risultati piacevoli. Mi sto concentrando sulle piccole cose che mi danno soddisfazione, per esempio osservare i miracoli della natura in queste giornate decisamente fredde. Ad esempio stamattina ho fotografato una splendida Dalia gialla col cuore arancione, sbucata dalla rete di un vicino. Sembrava fosse lì a posta per attirare l’attenzione, con le cime innevate sullo sfondo. L’ho percepita come un regalo della natura, in un periodo destinato al raccoglimento. Tra un mese sarà Capodanno e un po’ di ansia mi prende, ignorando ciò che potrà accadere. Per molte persone quest’anno si chiude in negativo, sono successe molte cose brutte nel mondo e anche nel privato c’è chi ha motivo di dolersi. Però mi impongo di vedere il bicchiere mezzo pieno. Se anche la Dalia è fiorita in una stagione non propizia, sfoggiando un’incredibile bellezza, me lo ricorderò quando la sorte mi vorrà affrontare ai ferri corti (sperando che sia clemente).
Statistica ed Emozioni
QUANTO TEMPO E’ PASSATO
Data l’eccezionalità dell’incontro questa volta privilegio la poesia che contiene una rivisitazione del passato scolastico e del presente, e la curiosità di sapere come i miei coetanei hanno investito le loro vite.
Nella speranza che nessuno si senta giudicato, bensì arricchito dallo scambio reciproco.
QUANTO TEMPO E’ PASSATO
Quanto tempo è passato
sono disorientato…
cinquant’anni fa
la maturità,
poi l’università
e finalmente
la libertà
di pensare ad altro:
il lavoro, il cuore,
viaggiare, dire
fare baciare
perché la giovinezza
è anche sventatezza!
Dove sono finiti
i compagni liceali?
Hanno fatto le ali,
messo su famiglia,
oppure lo studio
di medico avvocato
professore che
prepara lezioni
a tutte l’ore?
Tenzone a ognun
la vita riserva
così il raccolto
alla fin più si gusta.
So di Anna,
Paola, Nadia,
Gigliola, Luciano
Bruno e Paolo.
Francesco Diletto
è perfetto
come collega scrittore.
Michele Amedeo,
gratia deo
è un amico
gentile che
ama le rime.
Degli altri
molto ignoro…
perciò si facciano avanti
durante il ristoro
che qualcosa dirò
anche di loro.
La mela non cade mai lontano dall’albero
Bella storia quella che sento in coda al telegiornale su Rai3, ieri sera. Tra tante notizie sconfortanti, mi solleva il morale la storia sportiva e affettiva che coinvolge padre e figlio in carrozzina. Il giovane si chiama Kevin Giustino, classe 2001, nato a Napoli ma fiorentino d’adozione, normodotato. Ha scelto di passare alla carrozzina, per condividere la passione del basket col padre Gennaro che in carrozzina ci sta dall’età di vent’anni. Riviera Basket Wheelchair gli dà il benvenuto. Non so quasi nulla di basket, salvo che per fare canestro gli atleti corrono e saltano, mentre chi ha delle disabilità lancia la palla dalla carrozzina. (Adesso che ci penso, oltre vent’anni fa avevo fatto agganciare al muro, sopra il garage un canestro che però è rimasto trascurato). Non conosco il regolamento della disciplina e non so come Kevin possa mettersi nei panni di un disabile. Ma si è messo nei panni di suo padre e tanto mi basta per sentirmi allargare il cuore. Senza scadere nella retorica, mi commuove la sintonia che lega questa coppia fortunata, che della disavventura paterna ha fatto un’occasione per cimentarsi e dimostrare solidarietà con i fatti. Purtroppo è frequente sentire di scontri e disaccordi generazionali – succede così dalla notte dei tempi – quasi fosse fisiologico. Tuttavia l’eccezione che conferma la regola è un toccasana, un colpo di coda per tornare a credere nei sentimenti profondi. Immagino che dietro le quinte della bella storia ci siano dei familiari che non si sono persi di coraggio difronte alla limitazione fisica di Gennaro e che si siano spesi in un’opera pregevole di sostegno psico-fisico. Dal canto suo, Kevin è un confortante esempio di buona gioventù: quella che non si limita a criticare gli adulti, ma si mette pure nei loro panni disagevoli.
Funerale planetario
La regina Elisabetta II riposa finalmente nella cripta reale della Cappella di San Giorgio, nel parco del Castello di Windsor, accanto al consorte Filippo, duca di Edimburgo. Sottolineo finalmente, perché dopo 12 giorni dal decesso e le peregrinazioni fatte dal feretro, con tutto lo spiegamento di mezzi, uomini (10mila agenti di polizia mobilitati, 36 chilometri di barriere solo nel centro di Londra), prove notturne, cerimoniali vari sembrava che la sovrana fosse ancora in servizio per il suo Paese, cui ha dato oltre 70 anni di regno. Ho seguito a tratti il funerale, protrattosi per molte ore e seguito da circa 4 miliardi di persone collegate da tutto il mondo per assistere alle esequie di Sua Maestà, di cui non saprei cosa evidenziare: le foto e i video parlano da soli. Al di là della magnificenza del servizio (studiato minuziosamente dalla sovrana), praticamente perfetto, mi hanno colpito i fiori lanciati verso la bara, in testa al corteo di macchine: quello che si fa a teatro per omaggiare un bravo attore. E lei è stata una grande che ha saputo attraversare con stile, equilibrio ed ironia un secolo difficile, cui lascia un’impronta lunga. I grandi della terra riuniti per l’evento possano ereditare qualcuna delle sue doti. Siccome era anche madre, nonna e bisnonna, oltre che sovrana immagino che avrà avuto le sue gatte da pelare nel privato, ma che le abbia gestite con…regale equilibrio. Mi aspetto che il figlio Carlo III sia all’altezza di cotanta madre. Anche se d’ora in poi l’inno sarà pro the king e l’immagine della sovrana sulle banconote sarà sostituita da quella del suo primogenito, sono certa che la sua memoria sarà mantenuta viva ed anzi aumenterà, perché era una persona di valore che si è spesa fino all’ultimo per il suo amato Regno. Il re Carlo III, nel discorso televisivo fatto dopo la morte della madre cita il seguente verso di Shakespeare che riassume l’augurio di una moltitudine, me compresa: “Possano i voli degli angeli cantarti al tuo riposo. In amorevole memoria di Sua Maestà la Regina. 1926-2022”