Quando sono al bar a Fonte, tra i vari quotidiani mi capita tra le mani anche LIBERO, che non mi dispiace. Ammetto che ammiro il suo direttore, Vittorio Feltri che sta per compiere 80 anni. Lo confida lui stesso durante la trasmissione pomeridiana DIARIO DEL GIORNO su Rete 4 che seguo spesso, perché coincide col mio tempo relax. Oggi l’argomento del dibattere tra gli ospiti è il lavoro, anzi il lavoro che viene evitato e di cui c’è grande bisogno, soprattutto nel campo della ristorazione, con la stagione estiva alle porte. Mi sorprende per la franchezza il consiglio che Feltri snocciola per chi ha problemi di denaro: Consiglio ai poveri di diventare ricchi, esposto con il solito piglio. Al di là della battuta, su cui dopo torno, ammiro gli anziani che non temono di esporsi. In fondo, uno dei vantaggi dell’età avanzata è quello di esprimersi con disinvoltura, anche a scapito del fastidio che il proprio dire può suscitare. Adesso riprendo il filo. Sono un’insegnante felicemente in pensione da oltre un lustro. Mio figlio 34enne lavora in palestra come tecnico, con un contratto di collaborazione, cioè pagato a ore ma senza previdenze. In precedenza ha svolto vari lavori temporanei. Ha il diploma di Grafico pubblicitario che non gli interessa utilizzare. Gli piace il lavoro che fa, per cui ha anche il fisico adatto, coltivato sul campo. Da un anno e mezzo vive fuori casa, a due passi dalla palestra. Suppongo che sbarcare il lunario non gli consentirà di diventare mai ricco. Per lui, come per me non si sceglie il lavoro per il compenso in danaro, ma per la soddisfazione che procura. Inoltre la vita riserva sempre sorprese, strada facendo si può cambiare. Come madre, per me è prioritario il suo benessere psico-fisico. Chi non vive da solo e si trova capofamiglia di un nucleo allargato, dovrà fare altre valutazioni. Considerato ciò che offre il convento, si dovrà giocoforza adattare. Questa è saggezza. Se fossi giovane oggi, dovrei aggiungere forza e coraggio a quelle messe in campo quarant’anni fa, quando la situazione non era comunque rose e fiori. Ad esempio, per sbarcare il lunario da laureata dovetti adattarmi a fare l’applicata di segreteria in una scuola media per quattro anni, posticipando l’insegnamento. Altri tempi, stessa gavetta!
Categoria: Attualità
Robot cameriere
Più volte mi sono detta “Basta bar”. Sarebbe salutare che saltassi la seconda colazione, almeno il cornetto: mi disturba il vociare sopra le righe di qualche cliente, la consumazione a volte non mi soddisfa. Poi ci ricasco, magari cambio locale, alla ricerca di quello ideale che dovrebbe assomigliare a un caffè letterario, sulla falsariga di quelli conosciuti a Trieste. Un sogno inimmaginabile in un piccolo paese. Prima della pandemia, a Bassano del Grappa, in via Gamba c’era qualcosa di simile, ma mi risulta al momento chiuso. Il sogno rimane nel cassetto e rimedio come posso. Perciò mi concedo una capatina al bar Roer a Possagno, dove ho abitato prima di andare dalla parrucchiera Lara che si occupa della mia chioma da oltre trent’anni. L’ora è buona per una scorsa veloce del quotidiano disponibile, la tribuna oppure Il Gazzettino, perché ho i minuti contati. Lascio perdere la politica e mi concentro sulla pagina interna Locali senza personale. Il titolo dell’articolo è accattivante: “Il cameriere robot non può sostituirci”, parola di Giorgio Fantini che da 15 anni organizza la corsa storica dei camerieri. Luca Marton, titolare del bar pasticceria ‘Signore e Signori’ in piazza dei Signori a Treviso ha in prova un cameriere robot. Non so come la pensino i suoi clienti, suppongo divisi tra favorevoli e contrari. Credo sarei stupita, ma non emozionata se la cosa mi riguardasse. Di certo non sarei portata a fare quattro chiacchiere con il marchingegno e neppure a chiedergli consigli culinari, cosa che mi succede con Gabriella che ogni mattina decora in maniera creativa il cappuccino. A onor del vero, adesso che ci penso il penultimo novembre sono stata operata all’anca dal robot a Bassano del Grappa, però guidato dal chirurgo dottor Giovanni Grano: mi è andata bene, anche se altri pazienti erano restii ad affidarsi a una macchina. Un uso ragionevole della tecnologia che preveda la supervisione umana potrebbe aiutarci a risolvere molti problemi. Fermo restando che l’uomo è insostituibile.
Aggressione brutale
Sono esterrefatta per quanto accaduto alla psichiatra Barbara Capovani, presa a sprangate fuori dal reparto alla fine del suo turno, venerdì pomeriggio. Operata alla testa, le sue condizioni sono critiche. Il bollettino diramato ieri dall’Azienda Ospedaliera precisa che “Versa in condizioni estremamente critiche ma è ancora viva”. La psichiatra 55enne è responsabile dell’unità funzionale di Salute Mentale dell’ospedale Santa Chiara di Pisa. La squadra mobile è alla ricerca dell’aggressore, con la mascherina e vestito di nero, di cui al momento non si conosce l’identità. Scontato pensare a uno fuori di testa, magari un suo paziente. “Nell’ultimo anno in Toscana oltre 1200 medici e infermieri aggrediti” è il titolo di un articolo pubblicato dal quotidiano LA NAZIONE. Vorrei che fosse una bufala, o quantomeno un’esagerazione. “Atto gravissimo” lo definisce Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici. Una professoressa intervistata consiglia alle sue specializzande di seguire corsi di autodifesa. L’aggressività e la violenza sono cresciute in maniera esponenziale: io lo constato quando guido, operazione che faccio peraltro malvolentieri. Il personale sanitario è in prima linea, quanto a rischio, come pure chi lavora per garantire l’ordine e la sicurezza. Godendo di buona salute, frequento l’ambulatorio della mia dottoressa Roberta Bolzonella di rado. Tuttavia quando succede, mi viene spontaneo pensare alla concentrazione di ansia, di aspettative e talvolta di pretese che si mischiano nella sala d’attesa. Pazienti di varie età e pelle, dotati di mascherina chini sul cellulare intenti ad ammazzare il tempo, prima di poter conferire con il proprio medico di base, suppongo dotato di una pazienza infinita. Immagino che alla sera la dottoressa, cui mi lega un rapporto d’amicizia, sia pressoché distrutta. Meglio se sbaglio. Spero non le sia mai capitato un episodio increscioso…certo ne avrebbe storie da raccontare! Mi sono permessa questa digressione personale, per esprimere la mia solidarietà al personale sanitario tutto, in questo periodo in grave affanno. Alla psichiatra vittima della brutale aggressione, la mia pietà e la speranza che ce la faccia.
Un dolce prodotto, una storia
Grande affollamento di donne stamattina al bar Milady in piazza a Fonte. Ne conto quindici dal posto a sedere in angolo dove mi rifugio per leggere in santa pace il quotidiano. Chiacchierano forte, ma dubito siano tutte sorde e/o con problemi di udito. Due hanno la chioma bianca, età media sulla settantina… per farla breve più o meno mie coetanee, la cui verbosità mi dà un po’ fastidio. Ammetto che sono un tipo più da biblioteca che da bar, però nei paesi l’orario di questo luogo del silenzio è contenuto e non combacia con le mie uscite. Mentre le signore si raccontano con entusiasmo, il mio malessere cresce e penso di andarmene in fretta, quando mi trattiene l’articolo di Aldo Cazzulo dedicato al fondatore della Ferrero. Chi non conosce la famosa industria dolciaria? Mio padre ne fu rappresentante e negli Anni Sessanta vinse anche una targa come ‘venditore primatista’. Si chiamava Arcangelo, amante dei cani e delle moto, non disdegnava i gelati. Tuttavia non lo ricordo grande consumatore di cioccolata, come non lo sono neppure io. Però i prodotti Ferrero sono tutt’ora una garanzia di qualità; comperarli ogni tanto è rendere omaggio alla nota industria dolciaria e ricordare mio padre. Il titolo del libro parla da sé: Michele Ferrero, condividere valori per creare valore, di Salvatore Giannella, Salani editore, in libreria da domani. L’articolo concentra nel titolo il contenuto: Ferrero, il timido che partì con 30 chili di Pasta Gianduja e ingolosì il mondo. Si narrano gli esordi di Michele Ferrero quando andava di porta in porta a proporre la pasta di nocciole, senza avere la disinvoltura del venditore. Ma molte altre qualità covavano sotto la cenere e sappiamo cosa ne è nato: una leccornia in tanti prodotti da leccarsi i baffi!
La vita oltre l’ostacolo
Per un anno ho insegnato alle serali. Il corso era frequentato da adulti sprovvisti di licenza media e ragazzi dai 15 anni che non erano stati ammessi all’esame di stato, oppure non lo avevano superato. Un’esperienza interessante e arricchente dal punto di vista umano, che non rinnovai gli anni successivi per motivi di famiglia. Tra i corsisti ce n’era uno sui 16 anni che si assentava spesso per motivi sportivi; infatti giocava a calcio, che non è una cosa straordinaria. Ma straordinarie erano le aspettative sue e del genitore che fosse un potenziale campione ed entrasse a fare parte di una squadra importante, con vitto e alloggio. Non ho più saputo nulla di lui, anche perché non era dei paraggi e immagino sia rientrato nel paese d’origine al Sud. La premessa per introdurre il tragico fatto di attualità che riguarda la 18enne stella del volley Jula Ituma, precipitata dal sesto piano dell’hotel di Istanbul. Pare si tratti di suicidio. “Ci si può ammazzare a 18 anni? Succede, può succedere” estrapolo dall’articolo che leggo a pag. 14 sul quotidiano la Repubblica di ieri. A sera inoltrata, la ragazza aveva parlato per telefono con la madre, informandola sull’esito della partita persa per due a zero. Anche con un amico, forse litigando. Poi una lunga chiacchierata con la compagna di stanza che infine si era addormentata. Lei no, i filmati dell’hotel la vedono girovagare inquieta per i corridoi dell’albergo, fino ad aprire la porta finestra del terrazzo e buttarsi giù. La madre non vuole credere a un atto volontario che ad oggi pare escluso. Di fatto una ragazza, fortunata rispetto ad altre coetanee, dotata di un fisico notevole e qualità sportive riconosciute, in preda a chissà quali demoni ha lanciato la sua vita oltre l’ostacolo. Immagino il dolore inesauribile della madre. Per Jula pietà e una preghiera.
Intelligenza artificiale
Quel mattacchione di Fiorello – che mi fa compagnia tutte le mattine su Viva Rai 2! – ha inserito di recente uno spazio dedicato all’intelligenza artificiale, ovviamente tutto da ridere: lo ricopre una ragazza che, richiesta di rispondere a una domanda, inserisce un sacco di strafalcioni su qualcosa di vero. Questo gustoso siparietto mi offre l’opportunità di dire la mia riguardo alle supposte ‘macchine intelligenti’, con cui mio malgrado vengo a che fare. Di recente ho avuto problemi di disconnessione, ovverosia sono stata privata sia dell’uso di internet, sia del telefono non so per quale guasto. Per la precisione, dal venerdì santo fino a martedì compreso, cinque giorni di isolamento, nonostante mi fosse stata assicurata l’apertura della pratica da Vodafone il sabato santo. Data la pausa pasquale, mi sono rassegnata. Adesso arriva il bello. Martedì mattina sollecito per la presa in carico del problema e ‘dialogo’ – si fa per dire – con un disco: rispondo a una serie di domande per verificare se sono io l’utente che chiama. Quando rispondo dove sono residente – tra l’altro dal 2000 – la voce registrata mi risponde: “risposta non corretta”, il che mi fa sorridere…ma anche innervosire, dal momento che avevo dato la stessa risposta il sabato, accettata ma senza intervento risolutore. Per farla breve, ho dovuto attendere pazientemente l’intervento di un operatore in carne e ossa, per dire come stavano le cose. Non molto dissimile è il disturbo quando devo prenotare un appuntamento e/o una visita medica. Mi chiedo: veramente le macchine possono sostituirci dappertutto? Pacifico che snelliscono le operazioni in svariati ambiti, ma badiamo a non dargli troppo spazio. Serve qualcuno che le controlli, quantomeno perché non replichino i nostri errori. Manuel, studente universitario di Ingegneria elettronica dice che il computer è una macchina stupida. Lui, intelligente e capace mi ha risolto in presenza un sacco di problemi. La presunta macchina intelligente riesce a darne, anche da remoto.
Morire alla vigilia di Pasqua
35 anni, l’età di mio figlio quella di Alessandro Parini, l’avvocato romano ucciso nell’attentato sul lungomare di Tel Aviv “biblica terra del latte e del miele” dove si è scagliata l’auto dell’attentatore poi ucciso dalla polizia. Sgomento è la parola che mi viene per quanto accaduto al giovane avvocato che era appena giunto sul posto per un periodo di vacanza. Sette persone sono rimaste ferite. Tra tante uscite di scena drammatiche, quella per mano d’altri e in ferie mi sembra la più beffarda. Oltretutto in Medio Oriente, in un luogo di forte impatto religioso per i Cristiani e non solo. Immagino come potranno sentirsi gli amici del giovane Parini, il cui cognome mi riporta all’autore del poemetto Il Giorno, tanto per rivisitare gli studi classici. E chissà come si era impegnato Alessandro per conseguire la laurea col massimo dei voti e quanti sogni avrà riposto nell’avviare la carriera di brillante avvocato ‘sempre col sorriso’ come lo descrivono. Durante la Via Crucis, il papa ieri sera ha ricordato le mamme private dei figli nella guerra in corso che varie volte il santo padre ha definito La terza guerra mondiale a episodi. Morire in un attentato rivendicato dalla Jihad islamica ne è una conferma. La madre del giovane avvocato è allineata alla madre del soldato morto in guerra e a tutte le madri che sono state private dei figli. La prima di tutte la Madonna, madre di Gesù che molti artisti hanno celebrato nelle loro opere, dai più famosi a quelli ‘anonimi’ ma tutti comprensivi della perdita inaudita di un figlio generato che viene a mancare prima del genitore. Gesù dopo la morte è risorto. Morire alla vigilia di Pasqua mi sembra inaccettabile. Mi auguro che i familiari delle vittime dell’altrui violenza siano profondamente credenti.
Salute, bene primario
Curioso che la 75esima Giornata Mondiale della Salute cada oggi, mentre ieri è stata la Giornata Internazionale dello Sport, due ricorrenze non in antitesi ma in correlazione. Avevo in mente di scriverne ieri, poi sono stata sopraffatta dall’attualità. Ora ci torno, combinando le due facce della stessa medaglia: salute e sport sono strumenti del benessere psico-fisico cui è doveroso tendere. Lo dicevano anche i latini: Mens sana in corpore sano e la ‘ricetta’ non è cambiata. Forse oggi c’è meno tempo da dedicare al corpo, causa i moltissimi stimoli esterni che favoriscono la pigrizia… però le palestre sono frequentate da persone di tutte le età, per rimettersi in salute e/o potenziare delle abilità. La salute è un bene primario sancito dall’articolo 32 della Costituzione Italiana, tante volte da me ricordato a scuola. L’ottanta per cento degli italiani la considera al primo posto tra i beni da salvaguardare, al pari della famiglia. Per quest’ultima non sarei tanto sicura, ma mi auguro di sbagliare. Pacifico che se non sei in buona salute, perde valore tutto il resto: amicizia, affetti, lavoro, hobbies… però incappare in qualche malanno può essere motivo per rivalutare tutto e godersi il tempo che rimane. È capitato anche a qualche santo, se non erro a Sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti. Per dire che un evento spiacevole può innescare il cambiamento utile per rinnovarsi. il Ministero della Salute è l’ente che rappresenta questo diritto-dovere, e non è proprio al top in questo periodo, per problemi vecchi, sopraggiunti e congiunture varie. Speriamo in un cambio di passo. Quanto a me, sto parecchio attenta a non farmi male, sono per la moderazione in ogni ambito, cammino senza esagerare e mi alleno mentalmente, scrivendo e leggendo. Il blog in questo senso è un’ottima palestra, trovo che sia l’attività più piacevole della giornata che mi mette in comunicazione con le persone che poi mi rispondono. Del resto ho letto che tenere un diario è un modo per connettersi con altri, condividere pensieri ed emozioni. Ma anche per dialogare con se stessi, un salutare esercizio a costo zero. Buona salute a tutti!
Giochi letali
Dico la verità, avevo sospettato che la morte di Rkia Hannaoui, mamma 31enne di origine marocchina non fosse naturale: pensavo fosse partito un colpo dalla calibro 22 durante un’operazione di pulizia dell’arma da parte del vicino che è anche il padrone di casa, di cognome Stella…ma non c’è nulla di stellare nel drammatico susseguirsi dei fatti accaduti ad Ariano Polesine (provincia di Rovigo) dove la donna viveva in un casolare assieme ai due figli di 8 e 11 anni e al marito. Accertato che non si tratta di morte a seguito di caduta accidentale – come era stato tentato di fare passare la cosa – ma di colpo di arma da fuoco, ritrovata maldestramente occultata nel campo, l’autore dell’atto risulta essere il figlio minore della vittima, coperto dal fratello più grande e dal vicino di casa. Domanda spontanea: come si può giocare con le armi? Meglio: come si possono lasciare incustodite armi con il colpo in canna? Può essere che i bambini abbiano trovate le armi custodite, più appropriato dire malcustodite dentro il capanno del vucino. Non vorrei essere nei suoi panni, né in quelli del marito della sfortunata giovane madre e soprattutto in quelli dei due figlioletti, non imputabili per la minore età, ma che porteranno tutta la vita le conseguenze di quanto accaduto nel pomeriggio del 28 marzo scorso. Mio padre, di lavoro commerciante era anche cacciatore. A casa ricordo bene una rastrelliera con cinque fucili. Non mi è mai passato per la mente di occuparmene e non guardavo di buon occhio il suo hobby, fors’anche perché, essendo femmina non considerava di trasmettermelo. Comunque sono dell’idea che i bimbi piccoli vadano sorvegliati a vista perché sono spugne e tendono a ripetere le azioni dei grandi. Anche quelle tremendamente pericolose. Come purtroppo è successo.
Addio ad Ada d’Adamo
Mi colpisce molto la morte delle scrittrice Ada d’Adamo, nata a Ortona (Abruzzo) nel 1967, candidata al Premio Strega 2023 con il libro “Come d’aria”, edito da Elliot. Intanto per il nome identico al mio, ma anche per il cognome che include l’Adamo biblico…ma questi sono dettagli marginali. La scrittrice 56enne, malata di tumore da alcuni anni, era al suo esordio editoriale. Questo suo primo (e ultimo) romanzo prende ispirazione proprio dalle sue vicende personali: la scoperta della malattia e il rapporto con la figlia Daria, disabile dalla nascita. Il libro è tra i dodici finalisti del Premio Strega 2023. Continuerà a restare in gara ed essere selezionato fra i libri finalisti che possono essere cinque o sei, e quindi concorre anche per la vittoria. Elena Stancarelli lo ha presentato con le seguenti parole: “Come d’aria è un libro che fruga dentro il cuore del lettore. Serviva la lingua esatta e implacabile di questa scrittrice per riuscire a sostenere un sentimento tanto feroce”. Comunque vada o andrà, credo che sia stato terapeutico per chi l’ha scritto: scrivere comporta guardarsi dentro e aiuta ad alleggerire situazioni pesanti. Mi spiace molto per questa giovane donna, costretta a convivere con una pesante malattia e con una maternità estremamente impegnativa. In una lettera scritta a Corrado Augias su Repubblica riguardo il tema dell’aborto si era così espressa: “Anche se mi ha stravolto la vita, io adoro la mia meravigliosa figlia imperfetta”. Per dire come dalle situazioni più complesse e pesanti possa scaturire un amore tenace, anzi indistruttibile perché alimentato e cresciuto nelle difficoltà. Una testimonianza al femminile toccante che merita un abbraccio cosmico.