Sono esterefatta per quanto successo a Belgrado: otto ragazzini e la guardia di sicurezza uccisi dal tredicenne Kosta, nell’istituto primario “Vladislav Ribnikar” dove l’alta borghesia iscrive i propri figli. Il governo serbo ha proclamato tre giorni di lutto nazionale, dal 5 al 7 maggio. Era già desolante sentire di fatti simili accaduti in America, ma la strage si è paurosamente avvicinata in Serbia, definita ‘provincia d’America’ dall’inviato Fabio Tonacci del quotidiano la Repubblica di venerdì. Il giornalista intervista Andy, amico di Kosta, descritto come un tipo calmo, un po’ introverso. Bullizzato perché bravo. “Lo chiamavano nerd (= secchione sfigato) perché è uno studente modello che prende sempre il massimo dei voti”. Un killer bambino che accompagnava il padre Vladimir, noto radiologo e cacciatore appassionato di armi al poligono. La madre è una scienziata. Kosta ha fatto una lista dei compagni da eliminare. Ha sottratto due pistole al padre e messo in atto il suo progetto di morte. Da restare annichiliti, increduli che possa succedere. È risaputo che dopo il lungo periodo del lockdown sono emerse nuove fragilità, amplificate dalla guerra in corso. L’ OMS ha dichiarato la fine della pandemia, per quanto il virus circoli ancora. Siamo tutti in ansiosa attesa della Pace. Nel mentre mi inquieta pensare alle esplosioni di violenza raccapriccianti come quella successa venerdì ad opera di Kosta. La scuola è stato il mio ambiente di lavoro per oltre trent’anni e mi tocca ciò che succede, dentro e fuori il Paese. Nel finale della trasmissione Le Parole, Massimo Gramellini ieri sera ha esposto il fatto, chiedendosi come mai il padre si portasse appresso il figlio al poligono, segnalando il pericolo incombente del culto delle armi. Non vorrei essere nei panni del padre di Kosta, né in quelli dei genitori delle sue vittime. Di fronte all’enorme desolazione, non resta che pregare. E magari prevenire, per quello che si può.
Poetica del colore
Oggi 6 maggio è la giornata mondiale del colore. È anche il giorno dell’incoronazione di Carlo III d’Inghilterra. A ricordarcelo ci pensano i media già da giorni, perciò volo basso: mi soffermo in ambito cromatico e artistico dove mi sento più a mio agio. La giornata mondiale dedicata al colore nasce nel 2008 con lo scopo di sensibilizzazione soprattutto i bambini verso i coetanei che vedono il mondo “in bianco e nero”, quindi è un’iniziativa volta a valorizzare il senso della vista, tanto importante nella nostra psiche. Ogni colore infatti evoca sensazioni e influenza il nostro modo di fare. Lo sa bene il mondo del marketing e dell’armocromia, parola salita alla ribalta i giorni scorsi, in riferimento a Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico dal 12 marzo scorso che paga profumatamente una persona perché le indichi i colori degli abiti da indossare (credo che molte donne, di ieri e di oggi se la siano cavata usando il buon gusto). Ma io resto nel mio brodo e presento i colori che preferisco: il giallo e il blu, in tutte le nuance. A volte prevale uno e a volte l’altro. Suppongo corrispondano alle due ‘facce’ del mio mondo interiore, ‘brioso e spumeggiante ‘ – come lo definiva il mio compianto professore di Liceo – ma desideroso d’altro canto di tranquillità e di pace. Le parole sono il mio pane quotidiano, tuttavia sono attratta anche dal mondo della pittura, dove ho la fortuna di conoscere degli amici pittori: Pio e Noè Zardo, Renato Zanini, Mary Vardanega. Maria Cusin, mia zia paterna trasferiva sulle tele volti, fiori e animali. Di recente ho conosciuto – per ora da remoto – Lurdes Silvia, di cui è in corso la mostra ‘Colori ed Emozioni ‘ a Casier, mentre a Cortina d’Ampezzo ieri ha chiuso i battenti ‘La poetica del colore’ su Aldina Manaigo (1928 – 2010), pittrice e poeta ampezzana, organizzata dal figlio Sisto. “Aldina sarebbe stata contenta di aver trasmesso con i suoi colori tante emozioni”, parole di chi l’ha conosciuta bene. Che la pittura interagisca con la poesia, se n’era già accorto il grande Leonardo Da Vinci, definendo la pittura una poesia muta, espressione azzeccatissima. A mio avviso, in ambito espressivo, i colori corrispondono ai battiti del cuore dell’artista. Lunga vita all’arte, a chi la fa e a chi la consuma!
Storie di donne
Conosco lo scrittore Italo Calvino, ma scopro oggi che Eva Mameli Calvino, sua madre era una celebre botanica, di fama internazionale. Lo sento di sfuggita su Rai3 di primo pomeriggio, in tre minuti dedicati a Storie di donne italiane straordinarierie, riemergendo dal mio riposino pomeridiano. Soprannominata La signora dei gladioli , tanto mi basta per cercare altre notizie. Eva, all’anagrafe Giuliana Evelina, nasce a Sassari nel 1886, quarta di cinque figli in una famiglia alto-borghese. Dopo il liceo – unica ragazza – nel 1905 si diploma in matematica, all’Università di Cagliari e nel 1907 si laurea in Scienze Naturali all’Università di Pavia dove aveva raggiunto il fratello Efisio, colà docente di Fisica Organica. Curiosità: tra i suoi maestri Rina Monti, prima donna a ricoprire il ruolo di professore ordinario nel Regno d’Italia. Insomma: era chiaro che con un retaggio così avrebbe fatto strada. Conosce Mario Calvino, direttore della stazione agronomica sperimentale di Santiago de LAS Vegas, che sposa nel 1920. I coniugi si imbarcano alla volta dell’America dove trascorrono in sodalizio scientifico-matrimoniale gli anni fino al 1925, quando rientrano in Italia, a Sanremo, la città di Mario, che assume la direzione della Stazione Sperimentale di Floricultura. L’anno dopo la moglie vince la cattedra di botanica all’università di Cagliari. Bella storia di due appassionati di botanica. Nel 1923 era nato Italo, che diventerà il famoso scrittore che conosciamo. Ritorno a sua madre, la scienziata innamorata delle piante e dei fiori che diceva di se stessa: “Sembravo timida ma non lo ero per niente. Dentro di me sentivo una gran voglia di imparare… Desideravo scoprire per essere utile”. Ecco, oggi mi sono trovata un’altra maestra con cui condividere l’amore per i fiori.
Giorno di mercato…e di compleanno!
Oggi 4 maggio è una bella giornata di sole. È anche il compleanno della mia amica Lucia che commenta ogni giorno il mio post da quando è nato il blog, il 27.06.2021. Quindi di proposito, per scrivere il mio pezzo ignoro l’attualità e rimango nel privato, raccontandole la mia mattina, dato che Lucia è ricoverata in clinica a Mestre per intervento al ginocchio, con esito positivo e imminente rientro a casa. In paese oggi è giorno di mercato dove andiamo spesso insieme: una sosta qua, una sosta là, l’incontro di un/una conoscente, due chiacchiere davanti il banco dei fiori o della frutta… la mattinata scorre via piacevole e profumata anche dagli odori del fritto presso il bancone del pesce, molto frequentato. Stamattina però lo salto, perché sono a posto. Piuttosto mi fermo da Matteo e compero dieci bulbi di gladioli di vari colori che distribuirò nelle mie aiuole. Spero che faranno germogliare i fiori che la siccità dell’estate scorsa ha penalizzato. Alla postazione di fronte compero una ricotta e dello stracchino che metterò in tavola per cena. Contorno pronto: zucchine trifolate preparate ieri sera, perciò tiro dritto davanti al banco della verdura dove Evelyn, la titolare mi saluta cordiale anche se non acquisto niente. Mi affretto per tornare a casa, dove in uno spazio circoscritto Reginaldo ha messo in terra quattro piantine di pomodori e tre di zucchine, per un mini orto domestico. Se le cose andranno per il verso giusto, potrò raccogliere i prodotti e gustarmeli tra qualche settimana. Di rimpetto ai pomodori ci sono le fragole in fioritura: promettono bene! Pregusto la macedonia che potrò farne, con vino o limone, con o senza panna da offrire sotto il glicine, in amabili conversari. Perciò, Lucia tieniti pronta! 🍓🍓🍓🍓🍓🍓🍋🍋 Dolci Auguri! 🍰🥂
Altri tempi, stessa gavetta
Quando sono al bar a Fonte, tra i vari quotidiani mi capita tra le mani anche LIBERO, che non mi dispiace. Ammetto che ammiro il suo direttore, Vittorio Feltri che sta per compiere 80 anni. Lo confida lui stesso durante la trasmissione pomeridiana DIARIO DEL GIORNO su Rete 4 che seguo spesso, perché coincide col mio tempo relax. Oggi l’argomento del dibattere tra gli ospiti è il lavoro, anzi il lavoro che viene evitato e di cui c’è grande bisogno, soprattutto nel campo della ristorazione, con la stagione estiva alle porte. Mi sorprende per la franchezza il consiglio che Feltri snocciola per chi ha problemi di denaro: Consiglio ai poveri di diventare ricchi, esposto con il solito piglio. Al di là della battuta, su cui dopo torno, ammiro gli anziani che non temono di esporsi. In fondo, uno dei vantaggi dell’età avanzata è quello di esprimersi con disinvoltura, anche a scapito del fastidio che il proprio dire può suscitare. Adesso riprendo il filo. Sono un’insegnante felicemente in pensione da oltre un lustro. Mio figlio 34enne lavora in palestra come tecnico, con un contratto di collaborazione, cioè pagato a ore ma senza previdenze. In precedenza ha svolto vari lavori temporanei. Ha il diploma di Grafico pubblicitario che non gli interessa utilizzare. Gli piace il lavoro che fa, per cui ha anche il fisico adatto, coltivato sul campo. Da un anno e mezzo vive fuori casa, a due passi dalla palestra. Suppongo che sbarcare il lunario non gli consentirà di diventare mai ricco. Per lui, come per me non si sceglie il lavoro per il compenso in danaro, ma per la soddisfazione che procura. Inoltre la vita riserva sempre sorprese, strada facendo si può cambiare. Come madre, per me è prioritario il suo benessere psico-fisico. Chi non vive da solo e si trova capofamiglia di un nucleo allargato, dovrà fare altre valutazioni. Considerato ciò che offre il convento, si dovrà giocoforza adattare. Questa è saggezza. Se fossi giovane oggi, dovrei aggiungere forza e coraggio a quelle messe in campo quarant’anni fa, quando la situazione non era comunque rose e fiori. Ad esempio, per sbarcare il lunario da laureata dovetti adattarmi a fare l’applicata di segreteria in una scuola media per quattro anni, posticipando l’insegnamento. Altri tempi, stessa gavetta!
Vacanze sì e no
Oggi non ci sono i quotidiani, ma vado lo stesso al bar dove trovo i settimanali allegati, perché ieri sono stata tutto il giorno a casa: al mattino in preziosa compagnia di Manuel che mi ha sistemato alcuni problemi al computer e al pomeriggio tra relax e scrittura. Il tempo non era da scampagnate, come nel resto d’Italia. Stamattina è ancora incerto, ma mi farà bene fare due passi. Penso a chi per il ponte si è allontanato, facendo anche molti chilometri lungo il Belpaese. Io sono stata fino a Mestre per trovare la mia amica Lucia in ospedale e non è stato un viaggio di piacere, per traffico e lavori in corso. Non ho mai girato volentieri, nemmeno in treno. Una volta in aereo per scendere in Puglia. Più rilassante il viaggio in crociera verso la Grecia, diluito in una settimana e con mamma al seguito. Faccio l’ordinazione al bar e prelevo due riviste che mi porto al tavolo più distante dall’ingresso, per leggere in santa pace. A pag.42 del settimanale 7 del 21 aprile trovo il servizio che fa per me: VACANZE ITALIANE di Manuela Croci. Leggo che: “La regione in cui è previsto il maggior numero di arrivi è il Veneto (19 milioni), seguito da Lombardia con 15,8 milioni, Toscana (14 milioni) e Trentino Alto Adige (12,1milioni)”. A corredo del servizio, una manciata di scatti su alcune regioni di Massimo Siracusa. Beh, sono contenta di abitare nella regione più ‘appetìta’, con qualche angolo da me ancora inesplorato. Qualcosina conosco di alcune altre, mentre mi rimane del tutto inesplorata fisicamente la Sardegna, dove nacque Grazia Deledda, scrittrice da me amata soprattutto in gioventù… e dove ci abita Massimiliano, un caro collega di Scienze Motorie con cui ho avuto il piacere di lavorare qualche anno fa nella locale scuola media. Lui mi invia anche delle bellissime foto della sua isola che mi fanno sognare. Per ora da casa, che già è molto. In futuro si vedrà!
Primo Maggio in rosa
Ho visto, anzi rivisto perché in replica la mini-serie La Sposa di cui ieri sera hanno dato la terza e ultima parte. Il mio è un giudizio a caldo, senza patente di critica cinematografica, perciò accetto di essere smentita. C’erano già state delle polemiche perché il Veneto agricolo degli Anni Sessanta viene rappresentato come una zona culturalmente arretrata, il che non è una falsità e comunque poi si innesca un’evoluzione. Cosa ho apprezzato? L’ ambientazione spazio-temporale della vicenda, l’abnegazione della protagonista Maria, magnificamente interpretata da Simona Rossi, la ruvidezza del padre padrone che si scontra con la generosità, la promessa che si trasforma in amore tra Italo e la ragazza del Sud. Nell’Italia del dopoguerra, il matrimonio combinato era una pratica in uso, sebbene non diffusa. Da sfondo alle storie individuali, c’è l’evoluzione della società contadina che fa da contraltare a quella operaia. Se fossi in servizio a scuola, proporrei la fiction alle classi terze, piuttosto di considerare la successione dei fatti sul libro di storia. A mio dire, un prodotto dignitoso, senza sbavature e con diversi momenti toccanti. A tratti, l’intercalare veneto non disturba, ma fa sorridere. Molto bravi gli attori, sia individualmente che in gruppo, tipo la folla festosa che chiude la serie tra spaghettata e fisarmonica. Struggente l’interpretazione del piccolo Paolino, da disadattato a ometto grazie all’amore di Maria. Ravviso l’unica discordanza nel titolo, generico per una narrazione con molte sfaccettature e diverse storie umane. Infine una parola per Serena Rossi, “La Sposa”: mi ci sono affezionata da quando l’ho seguita nei panni di Mia Martini, in precedenza l’avevo sentita cantare con trasporto. Ieri mattina l’ho apprezzata durante l’intervista a Lavinia Biagiotti Cigna per un servizio dedicato alla madre, la grande imprenditrice di moda Laura Biagiotti. Donne, mogli, madri…calate in svariati campi nella finzione e nella realtà. Il modo migliore per esserci a festeggiare il primo maggio.
Robot cameriere
Più volte mi sono detta “Basta bar”. Sarebbe salutare che saltassi la seconda colazione, almeno il cornetto: mi disturba il vociare sopra le righe di qualche cliente, la consumazione a volte non mi soddisfa. Poi ci ricasco, magari cambio locale, alla ricerca di quello ideale che dovrebbe assomigliare a un caffè letterario, sulla falsariga di quelli conosciuti a Trieste. Un sogno inimmaginabile in un piccolo paese. Prima della pandemia, a Bassano del Grappa, in via Gamba c’era qualcosa di simile, ma mi risulta al momento chiuso. Il sogno rimane nel cassetto e rimedio come posso. Perciò mi concedo una capatina al bar Roer a Possagno, dove ho abitato prima di andare dalla parrucchiera Lara che si occupa della mia chioma da oltre trent’anni. L’ora è buona per una scorsa veloce del quotidiano disponibile, la tribuna oppure Il Gazzettino, perché ho i minuti contati. Lascio perdere la politica e mi concentro sulla pagina interna Locali senza personale. Il titolo dell’articolo è accattivante: “Il cameriere robot non può sostituirci”, parola di Giorgio Fantini che da 15 anni organizza la corsa storica dei camerieri. Luca Marton, titolare del bar pasticceria ‘Signore e Signori’ in piazza dei Signori a Treviso ha in prova un cameriere robot. Non so come la pensino i suoi clienti, suppongo divisi tra favorevoli e contrari. Credo sarei stupita, ma non emozionata se la cosa mi riguardasse. Di certo non sarei portata a fare quattro chiacchiere con il marchingegno e neppure a chiedergli consigli culinari, cosa che mi succede con Gabriella che ogni mattina decora in maniera creativa il cappuccino. A onor del vero, adesso che ci penso il penultimo novembre sono stata operata all’anca dal robot a Bassano del Grappa, però guidato dal chirurgo dottor Giovanni Grano: mi è andata bene, anche se altri pazienti erano restii ad affidarsi a una macchina. Un uso ragionevole della tecnologia che preveda la supervisione umana potrebbe aiutarci a risolvere molti problemi. Fermo restando che l’uomo è insostituibile.
Corpo e Mente
Chi mi conosce sa che ho una particolare simpatia per i vecchi, frutto probabilmente di una mancanza, dato che non ho conosciuto i nonni e poco le nonne. Anche gli studi classici hanno influito nel farmi un’idea della vecchiaia come stagione virtuosa della vita, salute permettendo. Ho dedicato il mio penultimo lavoro Il Faro e la Luce al mio compianto professore di Liceo Armando Contro, mancato all’età di 96 anni. Nella rubrica QUESTIONI (NON SOLO) DI CUORE di Natalia Aspesi sul settimanale il venerdì di Repubblica in corso, leggo la lettera Quando inizia la vecchiaia? cui la giornalista risponde col solito acume, condito di sano realismo. In sintesi dice che dipende da come ci si arriva e fa un distinguo tra 70 e 90 anni. Lei ha 93 anni e di recente ha subìto – e superato – un ictus che non le ha impedito di tornare a rispondere ai suoi lettori, compreso quello della domanda sui tempi della vecchiaia. Della signora invidio la lucidità e lo spirito, che me la fa immaginare una combattente nata. Di lei ho letto e gustato la raccolta di lettere con relative risposte, che ho prestato a un’amica ora ricoverata perché trovi spunti di riflessione sulla varia umanità. Pacifico che la ricchezza sta nella varietà e che al mondo c’è posto per tutti, tuttavia riconosco che non tutti i vecchi sono campioni di saggezza, così come molti giovani sono la negazione della vitalità. Per me è una questione di mente e di cuore: se sono state allenate a dovere, il tramonto può essere strepitoso. Del resto è ciò che sostiene Vittorino Andreoli nel suo ultimo Lettera a un vecchio (da parte di un vecchio). Il noto psichiatra ha 83 anni. Papa Bergoglio, oggi in Ungheria, nel “cuore dell’Europa” dove condanna gli “infantilismi bellici” ne ha 86. Per me sono esempi di longevità di spirito, di accettazione del quotidiano con tutte le sue variabili, acciacchi compresi. E qui mi soccorre la frase di una grande scienziata, Nobel per la medicina nel 1986, Rita Levi Montalcini (mancata il 31.12.2012 a 103 anni): “Io non sono il corpo: io sono la mente e il corpo faccia ciò che vuole”. Super!
Salute e Benessere
Con la giornata soleggiata, l’ora che volge al tramonto è quella che preferisco, verso le diciannove. Da sotto il portico mi godo la natura circostante, partendo dal mio giardino e spaziando poi sui colli e le creste dei monti. I raggi del sole creano riverberi tra le foglie del roseto aggrappato al traliccio di ferro e la cima della siepe di fotinia sembra abbia ricevuto una mano di rosso da un pittore. Il rombo lontano di un aereo e la camminata ritmica di un runner lungo il marciapiede fanno da sottofondo al canto a squarciagola dei canarini. Non so come sia fatto il paradiso ma in questo angolo di terra ci sto proprio bene. Il vicino camposanto che vorrei fosse dipinto d’azzurro è a due passi per ricordarmi che sono di passaggio. La vita è un dono e la salute un diritto fondamentale che va tutelato, come recita l’articolo 32 della nostra Costituzione, tante volte ricordato a scuola. Il 28 aprile è la Giornata Mondiale per la Salute e la Sicurezza sul lavoro. Gli infortuni e i morti in questo ambito sono sempre troppi ed è bene che se ne parli, ma più ancora che si operi perché i buoni propositi non rimangano sulla carta. Ma anche nel privato, non mancano le occasioni per farsi male. Basta poco per mettere un piede in fallo, cadere da una scala o tagliarsi maneggiando maldestramente un coltello in cucina. L’altro giorno sono caduta di schiena, scivolando sopra del cibo che il gatto aveva tirato fuori dalla ciotola. Per fortuna senza danno, salvo la sorpresa e lo spavento che mi costringono ad essere più prudente. La salute è indispensabile per stare bene da soli e con gli altri, salute del corpo e dello spirito. Ovvio che tutti i giorni non sono uguali – sarebbe anche monotono – ma quello che possiamo fare, tenendo rette le antenne è parecchio. Come fa la chiocciola che osservo mentre sale sulla facciata tiepida della mia casa: appena la sfioro percepisce un pericolo e si ritira nel suo guscio. Ma poi esce.